Resistenza e utopie vissute. Dialogo con Sakine Cansiz sulle montagne di Qandil

Introduzione

Questo articolo tratto dal sito italiano della Rete-Kurdistan sottotitolato originariamente “A colloquio con Hevala Sara e le sue compagne sulle montagne di Qandil” è un testo estratto dal libro “Widerstand und gelebte Utopien” a cura del collettivo di editrici presso CENI (Ufficio delle donne curde per la pace). Di seguito riportiamo l’introduzione originale all’articolo diffuso da Rete-Kurdistan e la preziosa intervista, documento unico nel suo genere, che ripercorre la genesi del movimento di liberazione delle donne curde attraverso le parole della sua importante fondatrice, Sakine Cansiz (nome di battaglia Sara). Il documento viene pubblicato quando lei era ancora in vita, due anni prima della sua vile uccisione, insieme a quella di Fidan Dogan e Leyla Saylemez, avvenuta il 9 Gennaio del 2013 nel cuore Parigi. In questa rara intervista, Sara -di cui è disponibile in italiano, in due volumi, l’autobiografia – attraverso la descrizione del lavoro delle militanti del movimento delle donne curde e della nascita storica del PAJK (Partito di liberazione delle donne del Kurdistan), mostra insieme alle pratiche organizzative, la situazione e gli sviluppi della lotta delle donne, di cui lei è stata da sempre primo motore ed un esempio, definita anche, dalle generazioni più vicine che l’hanno conosciuta, come l’ incarnazione del volto femminista del movimento di liberazione curdo.


Il testo che segue è la trascrizione di colloqui avuti nel corso del 2010 tra donne impegnate a vario titolo e con varie responsabilità nel movimento curdo e donne provenienti dall’Europa (in particolare dalla Germania), di varie esperienze politiche, interessate a capire il significato del movimento delle donne curde. Interviste, colloqui a più voci, domande e risposte in incontri avvenuti sulle alture del monte Qandil, nella zona di difesa di Medya, zona controllata dalla guerriglia curda nel Kurdistan del sud (Iraq), per spiegare come il movimento curdo non sia semplicemente un movimento militare, ma un progetto alternativo di società e una pratica di liberazione quotidiana dagli influssi del sistema di sfruttamento capitalistico. Il racconto di una vita comunitaria, fra le montagne, in particolare vista attraverso le storie, le voci, gli occhi delle donne. Tra queste, nel 2010, c’era Sakine Cansız (nome di battaglia, Sara)*.

 

Potete riepilogare perché c’è stato il cambiamento di nome del partito delle donne da PJKK a PJA a PAJK?

Hevala Sara: L’inizio è stata l’organizzazione come unione delle donne YAJK. A quel tempo, nell’ambito dell’ideologia della liberazione delle donne, discutevamo sulla possibilità di costruire un partito. L’ampiezza del lavoro e dell’organizzazione, sia in campo militare, politico o organizzativo, aveva raggiunto un livello per cui definirlo con un nome come  “unione” sarebbe stato restrittivo e avrebbe dato l’idea di una sezione femminile del PKK. Trovavamo giusto costruire su questo una nostra identità politica in modo molto più forte. Anche se avevamo sempre critiche rispetto al modello classico di partito, alla fine anche come movimento delle donne abbiamo deciso di fondare un partito delle donne. Tenevamo alla serietà che c’era dietro a questo progetto di organizzarsi in modo autonomo, di formare propri quadri (1) e di portare avanti l’organizzazione della società.

Sul nome all’epoca sono state fatte anche delle discussioni. La lotta del PKK – ovvero dei lavoratori del Kurdistan – era quello che intendevamo come nostra eredità e nostro punto di partenza. Questo quindi si rispecchiava anche nel nome – PJKK – partito delle lavoratrici del Kurdistan. Questo nome esprimeva la comunanza tra la contraddizione di genere e quella di classe e la questione nazionale. Nella fase successiva ci sono state ulteriori discussioni ideologiche sul concetto di classe, su come lo si riempie o anche sulla prospettiva universale della lotta di liberazione delle donne. Quindi nel terzo congresso si è deciso di cambiare il nome nel contesto di questo dibattito. Anche se abbiamo rinunciato al termine lavoratrici, questo non vuol dire che non continuiamo a ritenere necessaria la lotta di classe. Ma pensiamo sia importante ampliare il concetto. Non potevamo limitare la categoria donne al concetto classico di lavoratrici. Era importante invece mettere la contraddizione di genere al centro della lotta. In questo contesto è avvenuto il cambiamento di nome in PJA – partito delle donne libere.

Anche da parte della gente e dai compagni ci veniva sempre posta la domanda: ma che state facendo, perché cambiate continuamente nome? Ma in effetti si tratta di qualcosa che si è sviluppata dai nostri processi interni. Sentiamo l’esigenza di dare anche un nome ad un nuovo stadio di sviluppo della nostra lotta. Contrariamente al PJA, che allo stesso tempo era anche organizzazione popolare, abbiamo deciso di organizzare la PAJK come partito ideologico di quadri. Perché c’era in particolare la necessità di portare avanti la formazione di quadri e di organizzare i vari settori in modo più autonomo nell’ambito del sistema confederale. In parallelo è stata rafforzata l’organizzazione e l’iniziativa autonoma delle donne nei settori civili.

Un ulteriore punto di discussione era il concetto “donna libera”, che è presente nel nome PJA. Su questo ci sono stati dibattiti, perché è un nome molto ideale e nessuna di noi può dire di essere già una donna libera. Si tratta invece del fatto di essere determinate come donne e di lottare per la liberazione. Per questo c’è stata una nuova riflessione e discussione e così è nato il nome attuale del partito delle donne PAJK – Partito della Libertà delle Donne in Kurdistan.

Hevala Jiyan: Ad integrazione di quello che ha detto hevala Sara, penso che questi cambiamenti di nome siano avvenuti sempre in parallelo con un processo di trasformazione nel movimento. Esprimono sempre un rinnovamento strategico ed ideologico. Per esempio quando il primo partito delle donne è stato fondato in un periodo che era più improntato alle lotte di liberazione nazionale e di classe, dove il nazionalismo per noi in effetti non ha mai avuto un ruolo. Il termine Kurdistan nel nome del PJKK significava organizzarci in quanto donne a partire dalla lotta di liberazione nazionale. A fronte di questo per noi l’elemento di classe era molto più importante in riferimento a una tradizione marxista-leninista di sviluppo o concetto di partito. Era una fase in cui era in corso un nuovo processo di approfondimento. Anche da parte delle donne che si organizzavano all’interno del sistema, veniva percepita l’importanza di mettere in evidenza il significato e l’importanza della lotta di classe. Per questo le lavoratrici erano una componente del nostro nome. Gli ulteriori scontri e dibattiti ideologici nel movimento delle donne poi sono andati nella direzione di creare un concetto di liberazione più complessivo e in particolare di mettere la lotta di liberazione delle donne più in primo piano come una lotta internazionale. Per questo il nome PJA in realtà era qualcosa come un appello a tutte le donne del mondo a prendere parte a questa lotta. Il terzo congresso lo abbiamo definito come un “congresso di apertura”. Nella fase successiva si trattava di affrontare la domanda se fosse ancora necessario un partito delle donne o no. Perché sulla base della focalizzazione sulla costruzione di strutture sociali fondate sulla democrazia diretta, avveniva un processo di rinnovamento nel movimento delle donne. Abbiamo però notato che non basta se ci organizziamo secondo la democrazia diretta nella società e se poi nella guerriglia ci sono ancora le donne. Avevamo bisogno di qualcosa come un centro ideologico che svolge un ruolo importante nella lotta di liberazione delle donne e agisce per il suo sviluppo autonomo. Che poi il termine “Kurdistan” sia stato di nuovo aggiunto nel nome PAJK, è stata un’espressione culturale. Perché è un dato di fatto che questa organizzazione parte dal Kurdistan e che il Kurdistan è al centro del lavoro. Abbiamo scelto consapevolmente il nome Kurdistan e non “donne curde”, perché Kurdistan comprende anche tutte le altre etnie che vivono nella regione.

Qual’è il vostro rapporto con il nazionalismo?

Hevala Jiyan: Il PKK nella sua storia ha sempre condotto una lotta forte contro il nazionalismo. È anche questo che distingue il movimento del PKK dal KDP o dal PUK, che hanno un’idea nazionale. Il PKK intende contribuire allo sviluppo di una nazione democratica. Questa impostazione nasce dal rifiuto del modello dello stato nazionale. La nazione democratica è un’alternativa allo stato nazionale. Comprende il diritto di tutti i gruppi della popolazione a organizzarsi autonomamente senza dover avere per questo una sovrastruttura statuale o un’idea dello stato collegata a meccanismi di potere. Questo modello di nazione democratica è anche il punto di riferimento come movimento delle donne quando ci riferiamo al termine Kurdistan. In particolare il movimento delle donne ha svolto un ruolo molto importante nel contrastare correnti o mentalità nazionaliste all’interno del movimento. Come nella storia delle origini del PKK fin dall’inizio anche compagne e compagni turchi hanno preso il proprio posto, anche allo sviluppo del movimento delle donne hanno partecipato donne di diverse nazioni e provenienze culturali – arabe, turche, kirghise, russe e tedesche.

Ci sono state discussioni o scontri sul collegamento tra donna e nazione su come p.es. in altri movimenti di liberazione le donne venivano viste come “madri della nazione con funzione riproduttiva”?

Hevala Sara:  Quella che fin dall’inizio è stata una componente delle analisi di Abdullah Öcalan è stato il parallelismo tra l’oppressione e la colonializzazione del Kurdistan e la colonializzazione e l’oppressione delle donne. Negli anni ’70 è stata individuata un’analogia, che la società curda veniva oppressa, schiavizzata, sfruttata e derubata della propria identità e che la stessa condizione era doppiamente vera per le donne in Kurdistan. Sotto il dominio patriarcale le donne venivano fatte tacere, non avevano una propria identità, né volontà di esprimersi e forza di organizzarsi. Dall’analisi dell’oppressione nazionale e dell’oppressione patriarcale e degli effetti sulla società e sulla donna venivano alla luce molti paralleli. Ma non si è mai trattato del fatto di vedere la donna come serva della nazione. Abbiamo sempre definito la rivoluzione curda anche come una rivoluzione delle donne e detto che la liberazione delle donne va di pari passo con la liberazione della nazione. Ma non pensiamo che per questo ci sia un automatismo. Ma che in effetti attraverso la rivoluzione delle donne viene liberata anche la nazione. Sono due dinamiche che si completano a vicenda. Una parte importante delle nostre analisi – anche delle analisi di Abdullah Őcalan sul complesso famiglia, donne, uomini – è che è importante liberare la donna da una posizione in cui viene vista come macchina per la riproduzione. Questo è anche il motivo per cui rifiutiamo la forma esistente di matrimonio e famiglia. Perché li c’è l’idea di mantenere la tribù, di dare continuità alla tribù e questo fa parte del dominio maschile. Questo è un sistema di relazioni che noi rifiutiamo. Per questo ci opponiamo alla famiglia classica. Questo è il nocciolo della nostra critica alla famiglia ed alle strutture patriarcali, che le donne siano intese come madri e fattrici. Nel nostro approccio filosofico diciamo più che altro che se i bambini non hanno la possibilità di crescere in una società libera e di parlare la propria lingua è meglio che non vengano proprio al mondo. Invece di vivere senza libertà preferiamo non esistere. Questo è il punto di vista filosofico dal quale partiamo.

È un punto al quale noi nel movimento delle donne reagiamo in modo molto allergico e proviamo anche a fare più lavoro rispetto alla consapevolezza nella società. Perché all’uomo curdo non è stato lasciato altro ambito di potere oltre alla famiglia. E poi c’è l’idea che avere una famiglia grande significa avere molto potere. Ma tutto questo avviene sulle spalle delle donne. Allora la sessualità non ha più niente a che vedere con l’amore, molte hanno dovuto subirlo. Una gravidanza dopo l’altra e chi ne soffre di più sono le donne. Allo stesso tempo però le donne intendono i loro bambini come il loro solo bene e il loro unico compito. Per questo troviamo importante che le donne abbiano una propria sicurezza in modo indipendente dalla propria sfera di azione. La sessualità non deve essere usata come strumento di dominio, ma anche in questo campo deve esserci un’autodeterminazione delle donne.

Come intendete i partiti rispetto all’idea europea di partito come strumento parlamentare con una struttura gerarchica?

Hevala Rüken:  Questa è una questione di cui anche qui discutiamo molto. Abbiamo un’idea di partito diversa dal sistema dominante. Da noi il partito è al servizio degli obiettivi. Per noi è determinante poter mettere in pratica la nostra ideologia, ovvero la liberazione. Per poter costruire un’organizzazione a questo scopo, vediamo il partito come un mezzo per raggiungere un fine. Non è, come spesso è avvenuto nell’idea marxista di partito, che il partito è al centro di tutto e tutto deve svilupparsi intorno ad esso. Vediamo il partito più che altro come motore dello sviluppo. Per i partiti nel sistema, o anche per un partito con un’organizzazione marxista, il partito viene inteso come un mezzo per prendere il potere. Questa idea di partito è strettamente collegata con lo stato e le strutture statuali, ma da noi non è così. La nostra organizzazione partitica non è un mezzo per la presa del potere. Abbiamo determinati principi. Il primo è di costruire una vita libera. Un’idea guida in un processo verso questo per noi significa assumere responsabilità a livello collettivo. Per questo rifiutiamo un approccio gerarchico. In breve, vediamo l’organizzazione partitica come un mezzo per mettere una forza dirigente collettiva, democratica, comune, per sviluppare una capacità progettuale e mettere questo al servizio della società.

Parlate di “democrazia radicale”. Come si distingue l’idea di democrazia radicale rispetto all’idea di democrazia della “civiltà occidentale”?

Hevala Rojin: Questo naturalmente è un argomento molto ampio, ma forse è possibile riassumere i principi. Oggi vediamo che il sistema capitalista è quello che più di tutti ha svuotato il concetto di democrazia. Tutte le forze possibili, che siano imperialiste o socialiste, hanno usato il concetto di democrazia. Rispetto ad un sistema che usa il concetto di democrazia per l’esercizio del potere, abbiamo un’idea radicale di democrazia. Questo per noi significa costruire un’alternativa al sistema. Ed è in base a questo concetto che ci organizziamo.

Per fare un esempio concreto della nostra organizzazione autonoma come movimento delle donne: ci sono diversi ambiti in cui ci organizziamo, p.es. nel PAJK nel settore ideologico o nel YJA Star nel settore della guerriglia. Contemporaneamente c’è una sovrastruttura di collegamento, il KJB. Ma non succede che le decisioni importanti vengano prese in alto nel coordinamento KJB e poi trasmesse verso il basso, bensì ogni ambito di lavoro nel settore delle proprie competenze assume le proprie decisioni e di conseguenza assume iniziative in proprio. La differenza tra il nostro ed altri sistemi è che non ci organizziamo dall’alto verso il basso. Per raggiungere decisioni ogni settore di lavoro valuta per proprio conto: quali sono le mie esigenze, quindi che tipo di organizzazione devo costruire? Questioni del genere vengono discusse complessivamente con tutte le amiche dei rispettivi settori. I risultati vengono poi trasmessi come proposte alle unità di donne dappertutto, che a loro volta esprimono la propria opinione. Così i risultati di questa discussione vengono riportati e valutati. Inoltre periodicamente ci sono conferenze e congressi nei quali vengono assunte decisioni comuni da parte delle delegate. Ma complessivamente non abbiamo un approccio molto burocratico. Siamo contro la burocrazia. Se è necessario vengono convocate riunioni straordinarie per prendere decisioni comuni su determinate questioni. Un principio di quello che noi intendiamo come democrazia è che ciascuno è responsabile per il proprio settore di lavoro – lì dove vive, dove combatte – e lì prendono anche iniziative di fare cose, metterle in pratica, ecc, ma allo stesso tempo hanno diritto di portare le proprie idee o di esprimere le proprie critiche rispetto al lavoro in altri settori, quindi assumono sia la responsabilità per il proprio settore, sia quella rispetto all’impostazione di altri settori.

Questa è la base sulla quale proviamo a mettere in pratica la nostra organizzazione. Ma naturalmente ci sono ancora molte difficoltà. Per esempio approcci a volte dogmatici, a volte liberali, a volte metodi molto classici o tradizionali creano difficoltà nell’attuazione di questi principi democratici. Ma ci confrontiamo anche con questo. Questi sono punti sui quali ci critichiamo molto. Ma nonostante queste difficoltà c’è un consenso comune rispetto al fatto di affrontare e superare queste difficoltà e inadeguatezze. Questo ci dà forza e nuovi spunti per il cambiamento.

Il PAJK si definisce come “partito ideologico di quadri”. Cosa significa? Come è organizzato? Qual è la struttura e il metodo di lavoro?

Hevala Rüken: Per organizzarsi come partito ideologico e mettere in pratica il proprio paradigma (ossia la costruzione di una società democratica, ecologica, dove ci sia parità di genere), i quadri sono una necessità. La formazione, l’organizzazione e la promozione di quadri sono i compiti principali del PAJK per poter attuare la linea ideologica in tutti gli ambiti della lotta. Per questo il PAJK ha costruito propri comitati in tutti gli ambiti e settori di lavoro del movimento delle donne, tramite i quali organizza e coordina il lavoro. Del lavoro di questi comitati fa parte anche l’organizzazione ogni due anni dei congressi del PAJK. A questo scopo tutti i comitati valutano lo stato del proprio lavoro sia dal punto di vista ideologico sia dal punto di vista organizzativo, e portano le proprie elaborazioni nel congresso. In questi congressi vengono poi prese le decisioni che riguardano l’intero movimento delle donne dal punto di vista ideologico ed organizzativo. Inoltre ogni sei mesi c’è la riunione del consiglio del PAJK che in questi periodi valuta i lavori in corso e trasmette prospettive ai singoli settori di lavoro. Infine i singoli comitati ogni due mesi predispongono relazioni e le consegnano al coordinamento del PAJK in modo che possa verificarsi uno scambio continuo e tutti possano essere complessivamente al corrente dei lavori.

Un ulteriore importante settore di lavoro è il lavoro di formazione che viene organizzato dal PAJK e attuato in tutti i settori della lotta. Una componente fondamentale del lavoro di formazione sono le accademie delle donne qui in montagna. L’accademia Şehîd Zeynep Kınacı e la scuola Şehîd Nuda vengono organizzate e seguite direttamente dal coordinamento del PAJK. Ai lavori di formazione prendono parte donne dei gruppi dirigenti e quadri provenienti da diversi ambiti della lotta. Possono essere sia amiche che lottano da molto tempo, sia amiche che si sono unite da poco. Inoltre tutti questi lavori di formazione che vengono fatti nelle accademie vengono poi pubblicati come opuscoli e distribuiti alle donne nelle unità di altre zone. Infine tutti i quadri periodicamente, ogni sei mesi, mandano le loro relazioni personali al PAJK, in cui possono valutare i propri lavori, la situazione della lotta delle donne e le difficoltà. In questo modo hanno la possibilità di fare proposte rispetto al lavoro complessivo del PAJK, comunicare le proprie critiche o anche fare proposte di tipo personale. Quindi, se a un certo punto una compagna ha l’esigenza di scrivere qualcosa su un particolare argomento, questo è possibile in qualsiasi momento, ma periodicamente, ogni sei mesi, tutte le amiche scrivono una relazione del genere. Queste relazioni vengono lette dal coordinamento del PAJK e in base ai risultati di queste relazioni vengono date prospettive ideologiche a tutti i settori. Poi ci sono anche compagni che mandano al PAJK qualcosa come relazioni di autocritica sul proprio atteggiamento rispetto alla lotta di liberazione delle donne e il proprio modo concreto di procedere. In generale tutte le amiche che assumono posizioni di responsabilità nei vari comitati del PAJK prima partecipano alle attività formative del PAJK per capire bene l’impostazione ideologica e poter svolgere il proprio ruolo. Accanto alle prospettive annuali che vengono pubblicate dal PAJK per la lotta di liberazione delle donne, un altro importante settore di lavoro è quello con la stampa.

Tramite il comitato stampa del PAJK vengono preparati propri giornali, una pagina Internet, programmi radiofonici e televisivi. Da un lato c’è una stampa specifica per le donne, ma vengono elaborati anche contributi per la stampa in generale e altri media. Inoltre una volta al mese il coordinamento del PAJK prende contatto via radio con le amiche che nelle diverse zone del paese sono attive nei lavori del YJA Star. Ci sono dialoghi con le combattenti, dal PAJK ricevono sostegno e prospettive per il loro lavoro. Oggi il PAJK viene percepito a livello complessivo come centro del lavoro dei quadri da parte delle donne. Per le donne il PAJK – accanto all’organizzazione dal punto di vista ideologico e filosofico – è qualcosa come una fonte di energia, verso la quale c’è un rapporto di fiducia e dalla quale possono ricevere sostegno morale e ideale. Questa organizzazione per le singole amiche, anche se si trovano in luoghi lontani, ha una grande importanza. All’interno del sistema del KCK, i comitati del PAJK sono una struttura organizzativa autonoma per tutte le militanti. Anche se operano in altri settori di lavoro, contemporaneamente hanno anche la propria identità di quadri del PAJK.

Che idea avete dei quadri? Quali sono i criteri per le donne che vogliono essere quadri del PAJK?

Hevala Rojin: Per noi non è decisivo da quanto tempo una donna è attiva nel movimento e nella lotta. Per noi il criterio in base al quale un’amica può essere un quadro è quanto si collega con gli obiettivi della lotta di liberazione e mette in pratica questi obiettivi nella propria vita. Da questo punto di vista non facciamo differenza tra coloro che partecipano da tre mesi o già da anni. I criteri per i quadri del PAJK sono tutti uguali, a prescindere dal settore di lavoro in cui si trovano – che sia nel sociale o in quello della guerriglia o altrove. Il punto è quanto la singola ha compreso l’ideologia di liberazione delle donne, come lotta contro l’influenza del sistema sulla propria personalità, e mette in sintonia la propria vita con la lotta di liberazione.

Hevala Sara: Il significato di quadro in questa lotta è uno dei temi sui quali conduciamo la maggior parte dei nostri dibattiti, che sia nel lavoro di formazione o nelle nostre riunioni. Perché le idee non restino solo idee o perché tutti i dibattiti ideologici non restino solo teoria, è necessario che vengano riempiti di vita, che le persone li trasformino nell’ambito della propria vita, della propria pratica. E questo è quello che noi intendiamo come essere quadri. Quadri sono quelle che mettono in pratica i propri principi di libertà nella propria vita e nel proprio agire. In base a questi criteri mettiamo in discussione anche noi stesse. Questi criteri sono per tutti coloro che legano la propria vita a questa lotta – che sia in ambito politico, militare o ideologico – i criteri comuni di libertà come nostro principio fondativo. Spesso le cose sono fallite a causa del fatto che le cose venivano propagandate, ma non messe in pratica nella propria vita. Per questo molti movimenti hanno perso credibilità. Se riflettiamo su come è stata costruita l’organizzazione nella società curda, ovvero in una società che era schiavizzata e interdetta, è stato possibile solo attraverso quadri determinati, convincenti che vivevano secondo i propri principi.

Qual è la differenza tra collaboratrici e quadri nel movimento delle donne?

Hevala Rüken: Naturalmente ci sono collaboratrici nel movimento delle donne che da 20 anni sono attive nel settore civile del movimento delle donne e danno molti importanti contributi alla lotta di liberazione delle donne. Ma queste collaboratrici – a differenza dei quadri del PAJK – mantengono ancora una vita propria, privata. La decisione di unirsi a questo movimento come quadro significa praticamente non muoversi più “con una gamba nella società e con una gamba nell’organizzazione”, ma dedicarsi con amore e intelletto al lavoro per la liberazione delle donne e vivere 24 ore al giorno per questo e lottare con dedizione.

Ma non esiste il pericolo che attraverso l’organizzazione di quadri si formi qualcosa come una “nuova élite”? Anche in diverse organizzazioni della sinistra in Europa su questo ci sono stati dibattiti critici. Ad esempio molte realtà di sinistra e femministe anche per questo rifiutiamo collegamenti con organizzazioni partitiche. Cosa ne pensate?

Hevala Rojin: Rifiutiamo assolutamente un approccio di tipo elitario. Questo è un punto sul quale ci scontriamo di più anche all’interno del PAJK. Non deve emergere un atteggiamento o l’idea che i quadri che si sono dedicati alla lotta di liberazione si pongono al di sopra della società o si ritengano “migliori”. Succede nell’1-2% dei casi, ma sono cose con le quali ci confrontiamo e contro le quali lottiamo. Complessivamente per il movimento del PKK ed in particolare per il movimento delle donne va compreso il concetto di quanto ci mettiamo al servizio del popolo, al servizio della rivoluzione. Questi per noi sono criteri decisivi e il nostro compito come quadri.

Che ruolo ha il PAJK nel sistema del KCK? E qual è la relazione con il PKK?

Hevala Rojin: All’interno del sistema del KCK il PAJK è un partito autonomo delle donne. Oltre ad un ruolo rispetto all’organizzazione nei diversi settori di lavoro, ha il compito di rappresentare la linea ideologica del movimento di liberazione delle donne in tutti i settori di lavoro, in tutti i settori di lotta, e di valutare la pratica secondo questi criteri. Il rapporto con il PKK possiamo definirlo come un rapporto di natura pratica o parallela. Il PKK non è al di sopra del PAJK o viceversa, ma entrambi i partiti rispetto all’ideologia hanno uno scambio reciproco in parallelo. Tutte le donne nel PKK allo stesso tempo sono organizzate anche nel PAJK e tutte le donne nel PAJK sono organizzate anche nel PKK.

Cosa significa autonomia democratica per il PAJK?

Hevala Rojin: Questo argomento, l’autonomia democratica, è diventato particolarmente attuale con gli ultimi scritti [“Sociologia della libertà” di Abdullah Abdullah Öcalan]. Ma di per sé il tema dell’autonomia è il principio fondante per l’organizzazione delle donne. Ora naturalmente discutiamo all’interno del PAJK, così come nel KJB, su cosa significa l’autonomia democratica e su quali siano gli ambiti all’interno di questo argomento. Come ci organizziamo come donne in questa autonomia democratica? Un principio importante per questo è che all’interno del PKK la volontà delle donne, o quello che le donne hanno conquistato e l’organizzazione del PAJK siano accettati. Anche lì si è fatta strada la consapevolezza del significato strategico della lotta delle donne. In questo quadro sono state prese anche alcune misure pratiche come p.es. le quote di rappresentanza di genere. Da questo punto di vista il nostro obiettivo è quello di organizzarci come donne in modo autonomo in tutti i settori di lavoro, che sia il sociale, l’economia, ecc. In questa fase di costruzione dell’autonomia democratica il nostro obiettivo è di svolgere come movimento delle donne un ruolo guida rispetto all’intero progetto.

Hevala Jiyan: L’autonomia democratica è un modello che dà alle donne le più grandi possibilità di organizzarsi in modo autonomo e di entrare nel processo politico perché questo modello è riferito al sistema confederale e prevede un’organizzazione autonoma di tutti i gruppi presenti all’interno della società. Quindi è un’alternativa allo stato, ma contemporaneamente anche il sistema di organizzazione della società curda attraverso il quale la popolazione curda può entrare in relazione o in un dialogo con lo stato. Perché al momento lo stato non dà né alle donne né alla società curda la possibilità di rappresentarsi autonomamente in qualche sede. Questo si vede anche dagli arresti di massa che vengono eseguiti in Turchia sotto il nome di “operazioni KCK”. Vengono arrestati sindaci e sindache, rappresentati legali vengono brutalmente picchiati nelle manifestazioni. A fronte di questo c’è la necessità di una propria organizzazione. Nell’autonomia democratica invece l’organizzazione autonoma delle donne e la rappresentanza delle donne in tutti i settori della società hanno un ruolo decisivo. Nella società le donne sono diventate una forza importante in ambito politico. Ma non basta che ci siano donne come deputati, sindaci o nei consigli comunali. Per raggiungere un processo di trasformazione sociale, va rimosso il potere degli uomini all’interno della famiglia, nella società. Per questo l’autonomia democratica è più della mera costituzione della rappresentanza politica in qualche luogo.

Hevala Sara: Il principio dell’autonomia democratica in realtà, in una certa misura, è paragonabile a quella che intendiamo come una società che abbia le donne come riferimento. Le radici di questo si trovano nell’organizzazione municipale neolitica della società, in cui gli individui si potevano riconoscere e rappresentare secondo la propria volontà. Naturalmente non si può fare uno per uno com’era all’epoca. Ma questo serve come spunto di ragionamento su come può essere costruita un’alternativa ai modelli sociali dominanti. Le donne nella loro storia hanno radici e riferimenti rispetto a come si possa configurare una diversa organizzazione della società.

Hevala Rüken: Facciamo riferimento ad un paradigma che ha un significato importante per il lavoro futuro nel suo complesso e per il modello di società nel 21° secolo. Siamo consapevoli del fatto che la lotta che conduciamo per la costruzione dell’autonomia democratica è giorno e notte sotto il fuoco di carri armati di USA, Israele, Inghilterra e Germania. In questa lotta migliaia di amiche con la propria vita e con la propria resistenza hanno fatto grandi sacrifici contro ogni forma di dominio e contro la reazione, e questo continua a succedere anche oggi. Come militanti del PAJK e del PKK siamo intimamente convinte che perseverando in questa lotta riusciremo a costruire una società libera.

In conclusione anche una domanda personale a hevala Sara: come militante che fa parte del movimento fin dall’inizio ed è una fondatrice del PKK, come hai vissuto innovazioni e nuovi aspetti del movimento, come ad esempio l’ideologia di liberazione delle donne o il confederalismo democratico?

Hevala Sara: In primo luogo sono molto felice di poter vivere tutto questo e di vedere quante cose si sono sviluppate. All’inizio non avevamo niente, avevamo solo le nostre convinzioni, credevamo che ci fosse qualcosa di sbagliato e che noi volevamo qualcosa di giusto. L’atteggiamento era “Anche se cadiamo in questa lotta, prima o poi la libertà vincerà.” Tutto ciò che esisteva ci era ostile. Persino le nostre famiglie volevano impedirci di partecipare a questa lotta. Per questo era necessario mettere in discussione tutto, ricominciare tutto da capo. E a ogni innovazione che praticavi, ti trovavi di fronte a una nuova sfida, e questa a sua volta portava con sé altre novità. Questo significa che questo movimento si è incentrato sul fatto di ricorrere ai patrimoni di esperienze e di valutarli. Possono essere esperienze di una qualsiasi organizzazione di donne o di Rosa Luxemburg o Clara Zeltkin, movimenti femministi o altri approcci alla liberazione. Ma non abbiamo mai preso tutto così com’era, come invece hanno fatto altri; piuttosto abbiamo sempre guardato come potevamo riferirlo alla nostra situazione. Come possiamo riprendere qualcosa e unendo le nostre esperienze costruire qualcosa di nuovo? Non abbiamo mai avuto un approccio molto utopistico al socialismo. Questo per noi era qualcosa di molto lontano. Piuttosto abbiamo guardato come si potevano collegare socialismo, libertà e uguaglianza. Come possiamo cominciare almeno da noi stessi a mettere in pratica questi principi nelle nostre vite? Abbiamo sempre avuto speranze e utopie che non volevamo proiettare su generazioni future. Abbiamo invece cominciato a mettere in pratica le nostre utopie e speranze nel Qui e nell’Ora.

Ma qualche volta ci sono punti o sviluppi dei quali ti sei sorpresa quando nel movimento all’ordine del giorno c’erano nuovi temi o questioni?

Hevala Sara: Ma abbiamo partecipato tutti, non è mica caduto niente dal cielo. Naturalmente con ogni nuova amica, con ogni nuova persona ci sono anche nuovi stimoli. Si crea un nuovo scambio e nuove energie. Anche con voi è così. Con il fatto che siete venute qui e mostrate interesse nei nostri confronti, da un lato questo ci dà forza, ma dall’altro noi possiamo trasmettere qualcosa anche a voi.

 


 

*testo tratto dal libro “Widerstand und gelebte Utopien” a cura del collettivo di editrici presso CENI (Ufficio delle donne curde per la pace), MesopotamienVerlag, Neuss, settembre 2012 (Capitolo 2, pagg. 65-76.)

 

*nota biografica: Sakine Cansız nacque a Dersim (Tunceli) nel 1958. Attiva nel movimento giovanile studentesco di Elazığ, si unì al movimento rivoluzionario curdo nel 1976 e fu tra i fondatori del PKK. Dopo aver partecipato al Congresso di  Fondazione del movimento, il 27 novembre 1978, Sakine Cansız venne arrestata a Elazığ e incarcerata insieme ad un gruppo di amici. Fu sottoposta a pesanti torture nel periodo seguito al colpo di stato militare del 12 settembre del 1980. Grazie al suo coraggio e alla sua resistenza in carcere e fuori dal carcere è diventata un simbolo della lotta per la libertà delle donne curde. Dopo il suo rilascio nel 1991 ha continuato la sua lotta in diversi luoghi del Medio Oriente. Nel 1998 la Cansız ottenne l’asilo politico in Francia, per poi essere attiva politicamente sulla questione curda e sui temi delle donne in diversi paesi europei inclusa la Germania, dove fu brevemente incarcerata ad Amburgo. Era rappresentante del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) con sede a Bruxelles.  E’ stata brutalmente assassinata insieme a Fidan Doğan e Leyla Şaylemez il 9 Gennaio 2013 in Francia ad opera dei servizi segreti turchi. Le indagini sull’assassinio a Parigi di Sakine Cansız, Fidan Doğan e Leyla Şaylemez sono state riaperte su appello degli avvocati contro la chiusura del caso a gennaio a causa della morte poco chiara dell’unico sospetto. Sakine Cansız è un’icona della lotta per la liberazione delle donne curde. Per approfondimenti sulla sua vita si rimanda alla lettura della sua autobiografia uscita in Italia recentemente in due volumi “Tutta la mia vita è stata una lotta” Vol. I e II”, Mesopotamien Verlag- UIKI onlus, 2015-2016

 

Redazione

Del comitato di redazione fanno parte le responsabili dei contenuti del sito, che ricercano, selezionano e compongono i materiali. Sono anche quelle da contattare, insieme alle coordinatrici, per segnalazioni e proposte negli ambiti di loro competenz (...) Maggiori informazioni