RICHARD SHUSTERMAN – Soggettività somatica e soggiogamento somatico. Simone de Beauvoir su genere e invecchiamento

RICHARD SHUSTERMAN – Soggettività somatica e soggiogamento somatico. Simone de Beauvoir su genere e invecchiamento

Abstract

This article (originally published in the English version of my book Body Consciousness) critically examines the value of Simone de Beauvoir’s philosophy for the project of somaesthetics. In contrast to most philosophers who view embodied experience as a universal given that is essentially the same for all human subjects, Beauvoir highlights how somatic subjectivities distinctively differ through different subject positions determined by the subject’s social roles and status. Her detailed exploration of the somatic subjectivities of women and the elderly (which are shaped by forms of social subjugation) constitutes the focus of my study. I show how Beauvoir fails to recognize the extent to which somatic training can address some of the problems of subjugated somatic subjectivities and can thus help contribute to wider social efforts for greater freedom [1].

I.

Se Merleau-Ponty è poco convincente nell’esporre il suo ragionamento sulla percezione primordiale che, sebbene incarnata, «è immutabile una volta e per sempre», condivisa e «conosciuta da tutti»; se egli ha dunque torto nell’elevare tale argomento a ideale universale e normativo della spontaneità, il cui recupero dovrebbe essere il primo scopo di una filosofia somatica, ci permetta allora di rivolgerci a teorici più sensibili alle diversità della percezione incarnata e alla storicità delle norme somatiche. Insistendo sul fatto che i diversi fattori storici, sociali e culturali plasmano differentemente la nostra esperienza di soggetti incarnati, tali pensatori sostengono, inoltre, che le forme dominanti di una cultura del discorso tendono a oscurare o sminuire le soggettività divergenti, così da universalizzare le coscienze dei soggetti socialmente privilegiati come se fossero naturalmente normative e definitive per l’intera razza umana. Tutte le soggettività somatiche dovrebbero essere assimilate al modello descritto da quei filosofi che, tipicamente, generalizzano in base alla loro esperienza fenomenologica di maschi, adulti privilegiati e nel fiore della vita? Uno studio filosofico sulla coscienza del corpo deve affrontare la questione della differenza.

Simone de Beauvoir si colloca tra le più originali e influenti teoriche della differenza. Amica di vecchia data e collaboratrice di Merleau-Ponty, contesta in modo efficace l’universalismo astorico del suo approccio all’incarnazione [embodiment], esplorando i problemi della differenza corporea (nelle donne e negli anziani) mostrando i modi in cui storicamente le gerarchie di potere dominante modellano la nostra esperienza somatica e definiscono le norme di esistenza corporea. Per esporre i sottili meccanismi secondo i quali le diverse soggettività incarnate sono soggiogate attraverso i loro corpi, nei termini di un potere sociale che riflette il dominio maschile nella società, Beauvoir mostra come le differenze distintive del corpo delle donne e degli anziani siano percepite come contrassegnate negativamente, nei termini di un potere sociale che riflette la dominazione maschile. Tale indebolimento sociale è reciprocamente consolidato dalla percezione della debolezza corporea nelle donne e negli anziani, che sembra giustificare il loro status di subordinazione come naturale e necessario. Questa subordinazione somatica e sociale è trasmessa e promossa attraverso istituzioni e ideologie predominanti nella nostra cultura ed è, inoltre, incarnata dalle abitudini corporee di questi soggetti dominati che in tal modo riscrivono inconsciamente il loro senso di debolezza e di dominazione.

Lo studio della coscienza e delle pratiche somaestetiche, potrebbe essere di aiuto per liberare tali soggettività soggiogate? E come viene considerato da Beauvoir il potenziale emancipatore della prassi somaestetica? Per esplorare siffatti temi, questo capitolo esamina la ricca filosofia somatica di Beauvoir, concentrandosi in particolare su due opere [2]: Il secondo sesso (1949) e La terza età (1970). Entrambe sono essenziali poiché esplorano la differenza somatica e la sottomissione nelle onnipresenti categorie umane della donna e degli anziani [3]. Se il corpo è «il nostro modo di far presa sul mondo», e se «la libertà non sarà mai data… ma dovrà sempre essere vinta», allora Beauvoir dovrebbe affermare chiaramente l’importanza della coltivazione somatica per migliorare il nostro dispositivo corporeo al fine di ottenere una maggiore libertà [4]. Tuttavia, il suo approccio rimane più ambiguo, ben più complicato e conflittuale.

La sua complessità può essere chiarita inquadrando la nostra discussione nei termini di una diramazione della somaestetica, come tratteggiata in precedenza nel Capitolo 1 [5]. La somaestetica pratica di Beauvoir – il suo effettivo impegno personale in pratiche e discipline corporee – non sarà studiata in questa sede. Anche se i fattori della biografia somatica potrebbero aiutarci a comprendere la prospettiva discorsiva di un filosofo riguardo all’incarnato, rilevando che la biografia andrebbe ad alimentare la pericolosa tendenza negli studi di Beauvoir, a«ridurre il lavoro alla donna» e quindi a banalizzare o screditare le sue argomentazioni filosofiche «quali semplici spostamenti sul piano del personale» [6]. Gli studi biografici e le sue lunghe memorie, mostrano come Beauvoir abbia avuto una vita corporea dinamica espressa nel suo gusto per i vestiti, i cosmetici e la cura personale. Appassionata di sci, ciclismo e tennis, escursionista particolarmente entusiasta, con un amore per il cibo e per un’energica esperienza della sessualità, Beauvoir aveva anche – ed è ben più sorprendente – una passione dichiarata per la violenza, che ha manifestato anche attraverso alcuni esperimenti di ascetismo radicale avvenuti durante l’infanzia [7].

I contributi di Beauvoir alla somaestetica analitica – i suoi studi sull’incarnazione umana e la sua particolare riflessione sulle donne (di diversa età, cultura e appartenenza sociale) e gli anziani (di diverse società, professioni e classi) – sono troppo ricchi e di ampia portata per un’analisi adeguata in questa sede. Estendendo le sue ricerche dalla metafisica e dalla biologia dell’incarnato ai modi in cui questo viene plasmato attraverso lo sviluppo psicologico e le condizioni storiche, sociali ed economiche, Beauvoir dedica interesse anche a come la vita somatica è rappresentata e rimodellata sia dal mito sia dalla letteratura. Sebbene talvolta siano antiquate rispetto al progresso scientifico e sociale, le sue prospettive sulla somaestetica analitica rimangono comunque significative, soprattutto in rapporto all’obiettivo principale del capitolo: la somaestetica pragmatica e il suo potenziale liberatorio.

Beauvoir non difende una coltivazione somatica intesa come mezzo fondamentale per liberare i soggetti soggiogati dalla differenza e dal dominio. Pur riconoscendo un possibile miglioramento del vigore e della salute corporei, Beauvoir minimizza comunque il valore di una maggiore attenzione per il corpo, rilevandone i pericoli e indicandoli come un fastidioso ostacolo ai fini di un reale progresso di emancipazione. Il suo arduo rapporto con la coltivazione somatica sarà esaminato nei termini delle diverse categorie di somaestetica pragmatica delineate in precedenza: rappresentazionale (incentrata principalmente sulle forme superficiali, o di rappresentazione, del corpo), esperienziale (focalizzata soprattutto sulla qualità e la coscienza percettiva di un’esperienza somatica) e performativa (dedicata essenzialmente all’attuazione di prestazioni e abilità  corporee).

Gli studi di Beauvoir sulle donne e gli anziani rivelano notevoli somiglianze tra i fattori che contribuiscono alla loro subordinazione: entrambi sono segnati somaticamente e socialmente dominati. Le differenze corporee percepibili (sia- no la diminuzione della forza muscolare o le interruzioni delle mestruazioni, la gravidanza o il parto) sono immediatamente viste come indicatori di debolezza, essendo colte attraverso la prospettiva discriminatoria di una matrice socio- culturale radicata. Questa rete di istituzioni, abitudini, credenze, pratiche e valori riflette lo stato di subordinazione sociale delle donne e degli anziani mentre, al contempo, giustifica e consolida la loro dominazione in termini di differenza somatica e di evidente debolezza. Si potrebbe immaginare una società radicalmente alternativa, libera dal dominio maschile e capace di considerare la forza ribelle del testosterone, al contrario, come una debolezza fisiologica rimarcata socialmente nei maschi che ricoprono posizioni di potere che richiedono una quieta compostezza. Il secondo sesso e La terza età sono simili anche nella struttura espositiva: l’argomentazione inizia con la biologia, la storia e il mito prima di passare all’esame dei soggetti contemporanei, della loro condizione e del modo in cui donne e anziani di oggi incarnano e convivono con il loro stato di subordinazione. Tuttavia, la trattazione delle donne e degli anziani presentata da Beauvoir mostra anche evidenti differenze. Per questo considereremo tali soggetti separatamente iniziando con Il secondo sesso, un classico femminista e sicuramente il suo libro più influente.

II.

 L’ambiguità, un concetto essenziale per la filosofia di Beauvoir, è altrettanto saliente nella sua teoria somatica. Il secondo sesso è pervaso da due differenti concezioni del corpo, la cui inquieta tensione sembra riflettersi nei disagi conflittuali che – afferma l’autrice – sono particolarmente acuti nell’esperienza dell’incarnazione delle donne. Da una parte, Beauvoir definisce il corpo negli stessi termini positivi della fenomenologia esistenzialista di Merleau-Ponty – non come una cosa meramente materiale, bensì come la condizione strumentale per il nostro afferrare e avere un mondo. «Se il corpo non è una “cosa”, è una situazione: è il nostro modo di fare presa sul mondo» (SS: 60). Sfidando il presupposto freudiano secondo cui i nostri corpi sono primariamente sessuali, Beauvoir afferma che «il corpo è prima di tutto l’irradiarsi d’una soggettività, lo strumento indispensabile per conoscere il mondo» (SS: 325). D’altra parte, accanto a questa attiva e intenzionale soggettività corporea troviamo una più negativa caratterizzazione sartriana del corpo che è ugualmente pervasiva e forse, in ultima analisi, trionfante nel suo libro: il corpo come mera carne, immanenza materiale inerte, oggetto passivo e contingente definito e dominato dallo sguardo attivamente soggettivo degli altri [8]. Sebbene le donne, a causa della loro situazione di sottomissione sociale, siano particolarmente inclini a sentire il loro corpo come «una preda» dalla carne «passiva» (SS: 434-435), come «un oggetto» (SS: 708) o una «preda carnale» (SS: 469), Beauvoir insiste sul fatto che «uomini e donne, tutti conoscono la vergogna della propria carne; nella sua pura e immobile presenza, nella sua ingiustificata immanenza, la carne sotto lo sguardo altrui esiste come assurda contingenza e tuttavia è se stessa: e si vuole impedirle di esistere per altri; la si vuol negare» (SS: 437).

Perciò, Beauvoir sostiene ambiguamente che l’uomo è il suo corpo mentre sottintende retoricamente che la soggettività umana sia qualcosa di diverso dal corpo e perfino di opposto a esso, facendo sembrare le persone profondamente divise tra carnalità e coscienza, oggettività e soggettività, materia inerte e trascendenza attiva della volontà di coscienza [9]. Il caso della personalità della donna è ritratto come una divisione ancora più problematica, perché la donna sotto il patriarcato non è semplicemente divisa tra corpo e coscienza, ma è scissa all’interno del suo stesso corpo. «La donna, come l’uomo, è il suo corpo: ma il suo corpo è altro da lei» (SS: 56). Dall’inizio della pubertà e durante gli anni del parto, dell’allattamento e della maternità, afferma Beauvoir, la domanda biologica della specie umana si riafferma potentemente contro la volontà dell’individuo femminile, e il suo corpo è il sito di tale acquisizione inesorabile. La «maledizione» mensile delle mestruazioni, le cui reazioni ormonali influenzano «l’intero organismo femminile», includendo il suo sistema nervoso e la coscienza, appare come una forza aliena che cattura mente e corpo rendendo la donna «più irritabile» e più «incline a gravi turbe psichiche» (SS: 54-55). In quel particolare momento, «essa sperimenta più penosamente il suo corpo come una cosa opaca, alienata, in preda a una vita ostinata ed estranea che in esso ogni mese fa e disfa una culla» (SS: 55-56).

Il concepimento è senza via d’uscita, essendo inteso solo come un’estrema alienazione nella quale il corpo della donna non è più completamente il suo poiché abitato da un altro essere vivente, un parassita che si nutre delle sue risorse corporee, la cui presenza provoca vari disturbi al corpo. Difficoltà e rischi di malattie, dalle più banali a quelle davvero molto gravi [10]. «Il parto stesso è doloroso; è pericoloso» e «l’allattamento è una schiavitù sfibrante» (in francese la parola originale «servitù» è di gran lunga più negativa, connota anche «schiavitù») che impoverisce ulteriormente le sostanze nutritive delle quali abbisogna la madre per ripristinare la propria salute somatica limitando, inoltre, i cibi di cui potrebbe godere per riavere la propria forza (SS: 56). Solo nella tarda età della menopausa la donna può finalmente sfuggire alla sua «tirannia della specie» (SS: 61).

Tuttavia, Beauvoir resiste astutamente alle tentazioni di un rozzo determinismo biologico [11]. I fatti biologici «non bastano a definire una gerarchia tra i sessi; non spiegano perché la donna è l’Altro; non la condannano a mantenersi per sempre in una condizione d’inferiorità» (SS: 58). «Nella storia umana, la conquista del mondo non avviene mai a mezzo di un corpo nudo» (SS: 79) perciò, «i dati della biologia» – possono essere visti – «alla luce di un contesto ontologico, economico, sociale e psicologico» (SS: 63). Il corpo umano, afferma Beauvoir, è espressione duttile di una creatura non del tutto risolta – o puramente naturale –, ma significativamente plasmata da situazioni storiche e condizioni sociali. Se la differenza corporea della donna e la sua sofferenza non fossero state consolidate da strutture sociali ed economiche che sfruttano la differenza e la sofferenza contrassegnandole attraverso il senso d’inferiorità e di esclusione dai centri dominanti dell’azione, allora tali caratteristiche biologiche distintive non dovrebbero confinare la donna nella sua oppressione. Basandosi su temi cari ai filosofi esistenzialisti, da Nietzsche a Merleau-Ponty, Beauvoir ricorda che «dobbiamo definire l’uomo come un essere che non è dato, ma un essere che si fa». «L’uomo non è una specie naturale; è un’idea storica» (SS: 60) [12]. Allo stesso modo «la donna non è una realtà fissa, ma un divenire» (ibidem). Una creatura della quale, vita ed esperienze corporee, sono formate non solo dalla biologia ma dal cambiamento delle situazioni storiche nelle quali esiste. La donna è anche un’«esistente» perché può agire per trascendere e trasformare la sua situazione iniziale. Perciò la domanda più importante riguardo alla donna e al suo corpo non è cosa sia in termini storici o biologici, bensì cosa essa possa diventare. Vale a dire che «è legittimo misurare le sue possibilità» al fine di svilupparle e rafforzarle in futuro (ibidem).

Lo sguardo al futuro, secondo Beauvoir, è un approccio attivista e migliorativo verso la nostra natura umana aperta e malleabile (plasmata a sua volta da un mondo altrettanto malleabile che è in parte il prodotto degli interventi umani). E questo è un orientamento esistenzialista convergente con la tradizione pragmatista che motiva la somaestetica [13]. Può la somaestetica pragmatica affrontare utilmente le problematiche che Beauvoir identifica come ostacoli all’auto-realizzazione delle donne, mentre migliora anche alcune delle capacità distintive che essa assegna loro? Per cogliere il valore di una siffatta eventualità, dobbiamo esaminare le analisi presentate da Beauvoir circa i problemi distintivi del soggiogamento del corpo insieme ai mezzi della somaestetica utili ad affrontarli, alcuni dei quali sono da lei riconosciuti ma fermamente criticati. Siccome Il secondo sesso assimila costantemente forme performative di somaestetica a quelle rappresentazionali, la mia discussione dei suoi argomenti sarà divisa in due sezioni relative rispettivamente alle questioni rappresentazionali e a quelle esperienziali.

III.

Le rappresentazioni, nel loro fondamentale senso filosofico, sono gli oggetti della percezione così come sono compresi dai soggetti. Nella misura in cui Beauvoir accetta un dualismo radicale tra soggetto e oggetto, l’idea stessa di vedere una persona in termini di proprietà rappresentazionali sembrerebbe un modo di negare la sua soggettività riducendola a un oggetto percepito o rappresentazionale. In altre parole, percepire attivamente la soggettività dominante del sé renderebbe l’altro un soggetto umano che viene rappresentato come un semplice oggetto, come un prodotto della soggettività dello sguardo rappresentazionale oggettivante. Per gli uomini questo problema non è senza rimedio: essi possono identificare se stessi, nel profondo, come attivi, come dominanti altri soggetti attraverso le loro capacità e la loro attività dinamica nel mondo. Anche se, chiaramente, questo è un rimedio meno valido per gli uomini appartenenti a classi sociali ed etnie dominate, che possono comunque affermare la loro dominazione soggettiva sulle donne dei loro (e di altri) gruppi sociali dominati.

Se gli uomini sono visti tradizionalmente come portatori dei segni della soggettività e della trascendenza (quali l’intelletto, la volontà e l’azione) la donna, osserva Beauvoir, è solitamente identificata come oggetto. Essa è essenzialmente vista come corpo e carne, come un veicolo materiale per il desiderio dell’uomo, secondo la gioia per la procreazione della specie. In breve, la donna è quel soggetto di cui il patriarcato ha fatto l’oggetto per eccellenza della dominazione dello sguardo soggettivo, rendendola quindi «l’inessenziale» «Altro» (SS: 27). Sebbene anche gli uomini abbiano dei corpi che rientrano nella categoria degli oggetti rappresentazionali, secondo Beauvoir le loro proprietà rappresentazionali implicano trascendenza, dinamismo e una forte soggettività. Le proprietà virili dell’uomo e i suoi grandi muscoli suggeriscono tale forza dinamica espressa anche dall’«assimilazione del fallo e della trascendenza» (SS: 785) determinata dall’attivo, dominante, direttivo e penetrante ruolo intenzionale che il pene sembra avere – non solo nel sesso – ma anche nell’orinare (SS: 330, 440-442). Queste proprietà rappresentazionali della forza somatica maschile aiutano a rinforzare il potere sociale degli uomini quali soggetti dominanti. Percepito come vigoroso, non solo dagli altri ma anche da loro stessi, il loro corpo dà agli uomini la sicurezza per affermare una soggettività altrettanto forte nel mondo, essendo accettata dagli altri.

La situazione della donna è purtroppo molto diversa. Non solo la società patriarcale l’ha indirizzata a «perdersi nel corpo», ma le ha anche insegnato a vedere quel corpo come semplice «passività carnale», come «una cosa» (SS: 743, 820). Secondo Beauvoir, «sentirsi donna vuol dire sentirsi oggetto desiderabile». Sentirsi come una debole e passiva «preda carnale» di un soggetto desiderante forte (SS: 736, 469). Se «la bellezza maschile è indice di trascendenza» attraverso l’impegno virile con il mondo, contrariamente «quella della donna ha la passività dell’immanenza» di un oggetto «dello sguardo» che «può quindi essere presa» (SS: 726).

I tradizionali stili della bellezza femminile – che evidenziano delicatezza, morbidezza e abbigliamenti increspati poco pratici per agire dinamicamente – rafforzano questa immagine della donna come preda fragile, debole, carnale e passiva. Tali stili incoraggiano le donne a conformarsi – non solo nel loro aspetto visivo ma anche nel loro comportamento fisico – a questa immagine di debole bellezza femminile. Assumendo così un ruolo passivo nel sesso, sedendo o camminando come una donna, gettando gli oggetti come una ragazza. In breve, l’affermazione dell’ideologia estetica del corpo femminile serve a consolidare la debolezza, la passività e la mitezza femminile. Laddove tale sottomissione è reciprocamente usata per giustificare la permanente e naturale correttezza dell’estetica tradizionale femminile e il «mito» dell’«eterno femminino» (SS: 305). Una critica somaestetica a questa ideologia, insieme a uno sviluppo di nuovi ideali di somaestetica, potrebbero essere d’aiuto per rompere questo circolo vizioso? Beauvoir sembra inizialmente affermare questa possibilità. Scrivendo nel 1949 essa celebra lo stile di una nuova sfida della somaestetica al tradizionale ideale femminile di una carne pallida, molle, opulenta e drappeggiata in abiti impraticabili.

È già nata una nuova estetica. È vero che la moda dei seni piatti e delle anche magre – ideale della donna-efebo – è durata poco; però non si è tornati all’opulenza passata. L’uomo che vuole che il corpo femminile sia carne, ma con una certa discrezione; carne esile, non appesantita dal grasso; carne muscolosa, agile, robusta, in cui appaia un indizio di trascendenza; preferisce che non sia pallido come una pianta di serra ma che abbia affrontato il sole, tornandone abbronzato come il torace di un lavoratore. L’abbigliamento della donna pur diventando pratico non la trasforma in una creatura asessuata: anzi, le gonne corte hanno valorizzato al massimo gambe e cosce. Non c’è ragione per cui il lavoro debba privare la donna della sua attrattiva erotica. (SS: 313)

Chiaramente, qui il messaggio è che un cambio delle rappresentazioni dell’estetica somatica può aiutare a cambiare non solo i corpi delle donne ma può soprattutto migliorare l’immagine che esse hanno di se stesse sostenendole verso una maggiore trascendenza. Beauvoir suggerisce lo stesso genere di argomento riguardo agli sport e alle altre forme di discipline somatiche e performative che hanno chiari scopi e aspetti rappresentazionali. La rappresentazione esterna delle capacità corporee: «salire più in alto di un compagno, costringere un braccio a piegarsi, significa affermare la propria sovranità di qualcuno su tutta la terra. Questi atteggiamenti di conquista non sono permessi alle ragazze, specialmente la violenza non è permessa» (SS: 386) [14]. Inoltre, per la donna «questa impotenza fisica si traduce in una timidezza più generale: la ragazza non crede in una forza che non ha sperimentato nel proprio corpo; non osa intraprendere, ribellarsi, inventare» (SS: 387). Se «la debolezza fisica la porta alla passività» (SS: 814) allora la società della dominazione maschile è solo felice di confermare la sua disposizione. Beauvoir afferma con convinzione: «Non aver fiducia nel corpo equivale a perdere la fiducia in se stessi. Basta notare l’importanza che i giovani attribuiscono ai loro muscoli per capire che ogni soggetto considera il proprio corpo come la sua espressione oggettiva» (SS: 387-388).

Il risultato pratico di questo argomento dovrebbe essere un programma di somaestetica che miri allo sviluppo del generale senso di forza delle donne, attraverso l’incremento delle loro capacità somatiche, dotando i loro corpi di qualità estetiche rappresentazionali che suggeriscano tale potenzialità. Inizialmente, Beauvoir sembra appoggiare questo modo della donna di «affermare se stessa attraverso il proprio corpo, per affrontare il mondo» mediante un potere trascendente: «la donna che nuota, che scala una cima, che pilota un aereo, o lotta contro gli elementi […] prova di fronte al mondo la timidezza» nutrita dalla sua debolezza corporea (SS: 389). La pretesa di Beauvoir secondo la quale «la tecnica annulli la differenza muscolare che separa l’uomo dalla donna» (SS: 79) suggerisce, inoltre, che le donne dovrebbero coltivare le discipline somatiche sviluppandole attraverso tecniche specificamente utili a neutralizzare il vantaggio della forza bruta: lo judo e le altre arti marziali, depotenziabili in quello che essa vede come il regno cruciale della violenza [15].

Le donne possono addirittura superare, in gran parte, le loro debolezze fisiche e muscolari praticando discipline somatiche che incrementino al meglio e tecnicamente la loro forza. In un passo che riunisce considerevolmente forme di estetica somatica performativa e rappresentazionale (mischiando idee di azione, funzione potenziale, attrazione e forma visiva) Beauvoir  spiega:

Oggi, più di un tempo, la donna conosce la gioia di modellare il suo corpo con lo sport, la ginnastica, i bagni, i massaggi, le diete; decide del suo peso, la sua linea, del colore della sua pelle; l’estetica moderna le permette di integrare alla sua bellezza delle qualità attive: ha diritto a dei muscoli addestrati, si ribella all’invasione del grasso; nella cultura fisica, si afferma come soggetto; c’è per lei in questo una specie di liberazione nei confronti della carne contingente (SS: 627).

Benché queste parole suggeriscano che una miscela di estetica somatica, rappresentazionale e performativa fornisca una direzione promettente verso la liberazione femminile, Beauvoir è pronta a contraddirle (nel vero senso della parola) considerando tale idea di libertà come una rischiosa illusione. Tuttavia, alcuni mezzi orientati somaticamente dalla liberazione femminile fanno tornare la donna «facilmente alla dipendenza» (SS: 627) perché mostrano il corpo femminile – così profondamente e ostinatamente segnato – come un mero oggetto, come carne e immanenza passiva. Contrastando così la vera trascendenza della coscienza e dell’azione nel mondo, che richiede una reale libertà. «La stella di Hollywood trionfa sulla natura, ma si ritrova oggetto passivo tra le mani del produttore», afferma Beauvoir (SS: 627). «E in quale schiavitù cadono le stelle di Hollywood. Il loro corpo non è più loro; il produttore decide quale deve essere il colore dei capelli, il peso, la linea, il tipo; per modificare la linea di una gota le strappano dei denti. Dieta, ginnastica, prove, trucco, sono una fatica quotidiana» (SS: 665). Sebbene le donne possano raggiungere un certo potere grazie alla massimizzazione della loro bellezza, controllando in tal modo il desiderio altrui verso di loro, Beauvoir insiste sostenendo che tale potere dipende dalla faccia e dalla figura della donna. Mostrando soprattutto che esso si fondi sulla «carne vulnerabile che il tempo guasta», essendo affidato all’ammirazione e allo sguardo desiderante degli altri. Perciò, che tale potere tende a riprodurre la «dipendenza» della donna (SS: 739-740). Non solo «il suo corpo è un oggetto che il tempo logora», ma «l’uso trasforma in fatica le cure di bellezza, il mantenimento del guardaroba» (SS: 627-628). «La donna americana, che vuole essere idolo, diventa schiava dei suoi adoratori, si veste, vive, respira solo attraverso l’uomo e per lui» (SS: 740). Così, a dispetto di occasionali e provvisorie «vittorie» di autoaffermazione, attraverso l’attenzione per il corpo «di cui la donna può ben compiacersi» (SS: 627), la somaestetica rappresentazionale e performativa fallisce nella sua prospettiva di rimediare un reale o realizzabile strumento di liberazione per la donna. L’argomento di Beauvoir può essere messo in discussione. La convergenza da lei proposta, tra progetti performativi e rappresentazionali di somaestetica, suggerisce erroneamente che il lavoro della donna sul rafforzamento del corpo sia diretto, in ultima analisi, a renderlo sostanzialmente apprezzabile agli altri anziché a farlo sentire a se stessa più forte e prestante. Possiamo costatare che anche i soggetti di sesso maschile affrontano problemi simili, dovendosi oggettivare e sottomettere alla volontà di registi e produttori ugualmente preoccupati di mantenere la loro figura e i loro capelli al fine di rimanere soggetti rappresentazionali attraenti per lo sguardo sia femminile sia maschile. Inoltre, è sbagliato pensare che solo il corpo e la carne siano sottoposti alla deformazione dovuta al tempo. Le nostre menti sono altrettanto rastremate dal tempo, anzi dall’invecchiamento del corpo, anche se l’orgogliosa tradizione idealista della filosofia ha ostinatamente cercato di negarlo. Tuttavia, queste obiezioni sono solo marginali a quello che credo sia il punto centrale dell’argomento di Beauvoir.

Essa non sostiene completamente la somaestetica performativa e rappresentazionale perché, giustamente, vuole insistere sul fatto che la piena liberazione femminile non può essere realizzata semplicemente per mezzo di individui isolati che praticano la coltivazione somatica. Mentre, può essere raggiunta solo attraverso uno sforzo “collettivo” e politico che «esige prima di tutto che si compia l’evoluzione economica della condizione femminile», l’attivo impegno nella politica che progetta la libertà della donna, «per mezzo di un’azione positiva nella società umana» (SS: 721, 778). In breve, la liberazione della donna non può contare sulla modificazione del corpo individuale, ma solo sul cambiamento di una situazione più ampia che definisca come possano essere le donne e i loro corpi. Beauvoir dà ragione dell’importanza primaria delle condizioni sociali, politiche ed economiche che costituiscono la situazione attraverso la quale è plasmato il sé corporeo. Ma se è la situazione concreta nella sua globalità a determinare il significato del sé femminile, è altresì vero che le pratiche corporee fanno parte di tale situazione contestuale – così come «il corpo della donna è uno degli elementi essenziali della situazione che ella ha nel mondo» (SS: 63). Perciò, queste pratiche possono aiutare e tramutare siffatta condizione. Questa verità non vale solo per quegli individui le cui forme di eccellenza corporea (nella bellezza, nello sport, nella danza e così via) possono essere direttamente convertite in capitale economico e sociale. Tutte le donne possono diventare molto più forti e affrontare il mondo e i suoi problemi economici e sociali imparando a essere, a sentire e a guardare meglio proprio attraverso le discipline  somaestetiche.

Si tratta di una visione psicologica condivisa (sollecitata da diversi pensatori come William James e Wilhelm Reich), secondo la quale particolari posture del corpo riflettono e inducono reciprocamente atteggiamenti mentali connessi. Generando nuove abitudini nel comportamento corporeo, attraverso discipline di esercizio che non solo consolidano forza e capacità, ma che danno anche sensazioni di potenza ed efficacia, le donne possono raggiungere un’immagine migliore del corpo che permetta loro di avere più fiducia ad agire assertivamente superando la timidezza – che Beauvoir vede come motivo di sottomissione. Questa rappresentazione della forza fisica, insieme agli atteggiamenti fiduciosi da essa ispirati, sarà pertanto percepita anche dagli uomini, più disposti a rispettare queste donne riconoscendole come maggiormente abili. Inoltre, giacché tale in- cremento delle capacità corporee è garanzia per le donne di una maggior efficacia nell’esecuzione di ciò che desiderano fare, questo servirà anche a consolidare la loro autorassicurazione verso molti progetti ambiziosi di impegno con il mondo. In breve, le attività di somaestetica rappresentazionale e performativa orientate a mostrare capacità, competenza e un’attraente dinamica di autopresentazione, dovrebbero essere incoraggiate dall’obiettivo di Beauvoir di promuovere la fiducia verso l’impegno in una grande azione nel mondo. Secondo la logica pragmatista, se valutiamo l’obiettivo dovremmo anche, ceteris paribus, considerare i mezzi necessari per il suo conseguimento. Perciò, anche se lontana dal fine ultimo della liberazione femminile, la coltivazione somaestetica del corpo dovrebbe almeno essere approvata in virtù del suo contributo quale vantaggioso mezzo (malgrado non si tratti solo di una questione utilitaria).

Le teoriche femministe che lavorano nell’ambito della tradizione di Simone de Beauvoir e Merleau-Ponty sembrano riconoscere questa linea argomentativa, sebbene la sviluppino in modi diversi. Nel suo brillante saggio, Throwing Like a Girl, Iris Marion Young spiega come «le donne approccino spesso un impegno fisico alle cose con timidezza, incertezza ed esitazione», perché esse «mancano di fiducia nei [loro] corpi». Sensazioni di debolezza e «paura di farsi male» provocano in molte donne un senso «di incapacità, frustrazione e di autocoscienza» che interferisce profondamente nelle loro prestazioni somatiche, quale forma di credenza che autodetermina la loro impotenza. Questa dimensione di debolezza corporea – attribuita da Young in gran parte a «un difetto di pratica nell’utilizzo del corpo nello svolgere mansioni» attraverso «movimenti grossolani» – è anche, prosegue Young, causa di «una generale sfiducia che noi [donne] abbiamo di frequente verso le nostre capacità cognitive o di leadership» [16]. Mossi da una direzione teorica diversa ma complementare, gli argomenti di Judith Butler sull’attività somatica nella parodia di genere (nei casi drag e nei travestimenti), mostrano come le diverse rappresentazioni estetiche dei corpi femminili possano essere usate drammaticamente per trasgredire e sovvertire le nozioni convenzionali dell’identità di genere. Favorendo in tal modo l’emancipazione delle donne dalle costrizioni oppressive che l’ideologia di un’essenza di genere fissa e subordinata ha imposto su di esse [17].

Per riaffermare la sfida degli argomenti di Beauvoir contro tutti questi usi promettenti della somaestetica rappresentazionale-performativa si potrebbe sostenere che qualsiasi assimilazione del corpo è pericolosamente problematica perché distoglie le donne dalla veritiera e potente forma di trascendenza. Vale a dire, è una distrazione dall’azione politica nel mondo pubblico. Tuttavia, si tratta di un tipo di argomento che fa erroneamente del suo meglio per invali- dare quel che vi è di buono. Lo sviluppo somatico non cerca di minacciare la robusta prassi politica. Al contrario, come riconosce Beauvoir, può determinare fiducia e capacità utili a incoraggiare tale prassi. Inoltre, il suo argomento dalla distrazione dovrebbe anche militare contro il valore di qualsiasi altro risultato programmatico, tanto nella prassi politica quanto nella lettura e scrittura della filosofia. Pertanto, non può essere considerata come una distrazione, quella che renderebbe la coltivazione somatica un pericolo. Oltre a distrarre temporanea- mente la donna dal suo «tirocinio professionale», siccome «ciò non la obbliga a dedicare molto tempo al suo abbigliamento», la formazione del corpo della donna «implica che i suoi interessi vitali siano divisi» tra la trascendenza nel mondo e la cura per l’oggettivazione, e l’immanenza della carne (SS: 425). Per Beauvoir il problema cruciale è che prestare attenzione al corpo significa ingenerare una distrazione dall’immanenza, un regresso dall’oggettività che resiste in opposizione alla soggettività libera della trascendenza. Questo perché, nonostante l’iniziale condivisione della visione del corpo proposta da Merleau-Ponty come soggettività, la retorica somatica dominante ne Il secondo sesso (che riflette tristemente i valori del patriarcato e spesso sembra in gran parte da questo intrappolato) tende a interpretare il corpo come carne passiva, in particolare nei passaggi dove vengono studiati i corpi delle donne. Possiamo vederlo ancora più chiaramente nei passi di Beauvoir sull’esperienza somaestetica.

IV.

 Le femministe hanno ottime ragioni per confermare la somaestetica esperienziale, perché essa resiste alla nostra ossessione di una cultura nella quale vige un dominio rappresentazionale dello sguardo oggettivato dovuto all’offerta di un arricchimento alternativo e speculare ai piaceri del corpo. Piuttosto che mettere a fuoco come si guarda il corpo dell’altro, tentando di conformarlo allo stereotipo esteriore della bellezza – che sembra progettato per esercitare il potere su di noi –, la somaestetica esperienziale si concentra sull’esame e il migliora- mento dell’esperienza somatica interiore. Tuttavia, l’atteggiamento di Beauvoir rimane ancora ambiguo e ambivalente. Da una parte, affermando che le donne sono palesemente chiuse nelle loro esperienze somatiche – alle quali dedicano parecchia attenzione – Beauvoir sostiene anche che esse sono particolarmente alienate dai propri corpi e tristemente all’oscuro dei loro sentimenti e processi somatici interiori. Parimenti, mentre suggerisce palesemente che l’ignoranza dell’esperienza corporea è la maggiore fonte di debolezza per le donne, Beauvoir non raccomanda un programma di autoconsapevolezza somatica per rimediare a questa debolezza. Al contrario, sostiene anche che le donne farebbero meglio a lasciare i loro corpi fuori dal regno della loro indagine esperienziale, concentrando invece le loro attenzioni su eventuali progetti di trascendenza nel mondo. Astutamente Beauvoir afferma che il senso di debolezza corporea della donna non è semplicemente una mancanza di forza fisica esacerbata dalla discriminazione sociale. Si tratterebbe anche di un problema definibile come “debolezza cognitiva” della donna verso il proprio corpo, nel senso che quest’ultimo è qualcosa di misterioso e di non sufficientemente conosciuto da essa. A differenza di un ragazzo che può facilmente identificare il sé con il proprio corpo, identificandosi direttamente con il proprio pene come con un «alter ego», una ragazza non ha un punto esteriore di identificazione con il proprio corpo, essendo così particolarmente rivoltato verso le sue «intimità» (SS: 74, 334). «Ella ha un’ansia estrema di fronte a tutto ciò che avviene dentro di lei, è già in partenza molto più opaca ai propri occhi, investita più in profondità dal torbido mistero della vita di quanto lo sia il maschio» (SS: 334). E poiché i misteri interni al suo corpo nascondono sorprese incontrollabili e dolorose – quali le mestruazioni, il concepimento e il parto – l’esperienza dell’interno del corpo costituisce per la donna una grande fonte di ansia.

Raggiunta l’adolescenza, una donna percepisce il suo mistero interiore come la fonte di «impure alchimie» (SS: 362) che si oppongono al suo senso del sé e alla sua autonomia. Essa «sente che il suo corpo le sfugge, […] le diventa estraneo» (SS: 362). Sente non solo il mistero ma anche il disgusto per le sue intimità; ogni mese «lo stesso disgusto per quell’odore scipito e marcio che sale dal suo corpo – odore di palude, di violette appassite – per quel sangue meno rosso, più sospetto di quello che usciva dalle scorticature di quando era bambina» (SS: 367). Appena la giovane ragazza diventa donna, il «mistero» sessuale del suo corpo «diventa angosciante», poiché questo è costretto a esprimere se stessa specialmente nel ruolo di carne passiva: «subisce il turbamento come una malattia vergognosa; non è attivo» (SS: 374-375) [18]. Come nella malattia così nella sessualità femminile, «il corpo è subito come un peso; estraneo e ostile» (SS: 393), esperito come qualcosa di strano, di disgustoso, di disumanamente animale. A differenza dell’organo di sesso maschile, «che è pulito e semplice come un dito» e che «spesso i bambini l’hanno mostrato ai compagni con orgoglio e sfida», «il sesso femminile è misterioso per la donna stessa, nascosto, tormentato, mucoso, umido; sanguina ogni mese, talvolta è sporco di umori; ha una vita segreta e pericolosa. E, poiché in gran parte la donna non si riconosce in esso, non ne riconosce come suoi i desideri» (SS: 443). Anziché espressione della soggettività umana trascendente, «il calore femminile è il molle palpito di una conchiglia», un’umiliante «vaso» «immobile» e «vischioso», «materia inerte» o «palude» (SS: 443). Inoltre, dato che «il corpo della donna è singolarmente «isterico»» (SS: 450), Beauvoir afferma che la profonda debolezza cognitiva delle donne riguardo alla loro intima esperienza del corpo (alla quale conseguono ansia e disgusto) tende effettivamente ad aggravare la loro debolezza fisica e a generare una reale sofferenza di là da ciò che dovrebbe normalmente sorgere per cause  puramente organiche [19].

La conseguenza pratica di questo argomento dovrebbe spronare le donne a conoscere meglio il proprio corpo. Esse non dovrebbero concedere tale conoscenza interamente alla dominazione maschile dell’istituzione medica. Tipicamente quest’ultima tratta il corpo come un’oggettiva macchina di carne piuttosto che come una soggettività vivente e ha tradizionalmente preferito lasciare le donne all’oscuro dei propri corpi così da spiegare tali misteri consolidando il senso di debolezza delle donne e, al contempo, il senso di potere autoritario del dottore. Prestando attenzione a un’esperienza corporea si potrebbero rendere i suoi misteriosi processi più familiari e comprensibili. Come tali, essi potrebbero diventare meno disgustosi, minacciosi e sfiducianti. Gli spaventosi misteri immaginati, solitamente, sono ben più raccapriccianti della realtà esperita. Inoltre, dato il forte nesso psicosomatico sostenuto da Beauvoir, una maggiore conoscenza da parte di una donna del proprio corpo può essere tradotta in un incremento di fiducia e forza fisica affinché le debilitanti inquietudini, dovute a misteriose ansie, siano dissipate. Per di più, come riconosce Beauvoir, vi sono marcati elementi di piacere e delizia nell’esperienza corporea della donna. Una maggiore attenzione a questi piaceri somatici, attraverso la focalizzazione della consapevolezza della somaestetica esperienziale, potrebbe amplificare ulteriormente la fiducia delle donne sollevando i loro spiriti. La donna, insiste Beauvoir, è migliore dell’uomo per questa sua attenzione somatica interiore: «è preoccupata soprattutto dei suoi rapporti con se stessa», a tal punto che «il pensiero della sua salvezza la incoraggia ad abbandonarsi al piacere che preferisce a ogni altro […] ascolta i movimenti del suo cuore, i sussulti della sua carne, giustificata dalla presenza della grazia in lei, come la donna incinta da quella del suo frutto» (SS: 716-717). Se «la famosa “sensibilità femminile” ha un po’ del mito, […] ma la verità è anche che la donna è molto più attenta dell’uomo a se stessa e al mondo» (SS: 718); più abile e più incline a esaminare i propri sentimenti, «studiare le sue sensazioni e trarne senso» (SS: 719). «La carne non grida è in lei più forte che nell’uomo: ma essa ne spia i minimi mormorii e li ingigantisce» (SS: 697). Questa inclinazione verso la grande attenzione somatica spiega perché molte donne cercano «una pace meravigliosa» nell’ultimo stadio della gravidanza: «si sentono giustificate; avevano avuto sempre il desiderio di spiarsi, di osservare il proprio corpo; per rispetto dei loro doveri sociali non osavano interessarsene con troppa compiacenza: adesso ne hanno il diritto; tutto ciò che fanno per il loro benessere, lo fanno anche per il bambino» (SS: 592).

L’analisi dell’erotismo di Beauvoir suggerisce altre ragioni per le quali una intensificata attenzione verso le sensazioni corporee della donna potrebbe rivelarsi un potenziamento dell’esperienza. Contrariamente al piacere sessuale maschile, che essa vede come localizzato nei genitali e compiuto nell’orgasmo, il «godimento femminile», scrive, «è irradiato in tutto il corpo», «poiché non gli è assegnato un termine fisso, il piacere ha per oggetto l’infinito» (SS: 454-545). Inoltre, giacché la sua sessualità differente e il suo ruolo oggettivato la preparano a giocare nell’arena sessuale, la donna è anche molto più sensibile dell’uomo rispetto alla ricchezza di ambiguità, di soggettività e oggettività umana, mostrate in maniera sconvolgente proprio nella sfera del sesso. «L’esperienza erotica è nel novero di quelle che più scoprono agli uomini, e in modo diretto, l’ambiguità della loro condizione; in essa fanno prova di sé in quanto carne e in quanto spirito, come alterità e come soggetto» (SS: 461). La donna dovrebbe essere più consapevole di questo rispetto all’uomo, perché le viene continuamente ricordato di non essere coscienza desiderante, ma carne desiderata e oggettivata: «desidera rimanere soggetto, facendosi oggetto» (SS: 455); «le occorre di riacquistare la propria dignità di soggetto trascendente e libero pur accettando di essere carne: è un’impresa difficile e gravida di rischi, cui la donna spesso non regge» (SS: 461). Eppure, anche in caso d’insuccesso, l’attenzione per tale ambigua esperienza somatica può fornire alle donne una visione più chiara della fondamentale ambiguità della condizione umana. Perciò Beauvoir afferma: «la donna ha di sé un’esperienza più autentica», della sua complessa, dolorosa e inabilitante ambiguità; mentre l’uomo, «è spesso schiavo dei fallaci privilegi connessi alla parte aggressiva che sostiene e alla solitudine soddisfatta dell’orgasmo; esita a riconoscersi in pieno come carne» (SS: 461) e quindi rimane cieco alla parte essenziale della condizione umana [20]. Poiché il vivere autentico è il primo obiettivo dell’etica esistenzialista, ci si potrebbe aspettare che Beauvoir dedichi maggiore attenzione all’esperienza somatica giacché evoca un riconoscimento più autentico dell’ambiguità umana. Inoltre, poiché la cecità alla nostra condizione ontologica è un ostacolo a realizzare la vera libertà, Beauvoir ha un’altra ragione per riconoscere come la migliore consapevolezza dell’esperienza somatica potrebbe essere  utile per promuovere la liberazione della donna.

Beauvoir, invece, è molto lontana dal sostenere un tale programma di coltivazione somaestetica. In ultima analisi, lei disapprova invece un focus intensivo sull’esperienza del corpo, sia come concausa sia come prodotto dell’oppressione della donna e del confinamento all’immanenza. Beauvoir suggerisce anche che le donne starebbero meglio se prestassero meno attenzione alle loro sensazioni corporee, soprattutto quando si tratta di sentimenti spiacevoli spesso associati alla speciale condizione della donna. «Sono convinta», scrive Beauvoir, «che la maggior parte dei malesseri e delle malattie che affliggono le donne hanno origine psichica: questo mi è stato detto anche da vari ginecologi» (SS: 799). Piuttosto che analizzare e curare le proprie sensazioni somatiche, governandole al meglio o trasformandole attraverso la loro conoscenza, sarebbe meglio per la donna «avere piccole informazioni di esse». Perciò, «il lavoro sarà di valido aiuto al suo equilibrio fisico perché le impedirà di preoccuparsene incessantemente» (SS: 800) [21]. Più genericamente, Beauvoir afferma che la donna dovrebbe evitare l’intensa analisi «soggettiva» e coltivare invece una «dimenticanza di sé», poiché l’autoanalisi richiede molto più tempo ed energia, ostacolando il completamento di qualsiasi genere di lavoro valido che assicurerà la sua indipendenza nel mondo. «Nuova arrivata nel mondo degli uomini, scarsamente sostenuta da loro, la donna è ancora troppo occupata a cercare se stessa» (SS: 805).

Un lavoro rispettabile nel mondo pubblico è, certamente, di cruciale importanza per la piena realizzazione della libertà della donna, così come lo è per l’uomo. Tuttavia, persino la grande importanza di un lavoro rispettabile e dell’indipendenza economica non contrastano il valore dell’accresciuta consapevolezza somatica, le cui lezioni ci possono garantire una funzione di maggiore successo nel mondo pubblico ed economico liberando il corpo dalle cattive abitudini del suo uso che ostacolano la sua efficienza e capacità caricandolo di dolore. Qui, di nuovo, il mero argomento della temporanea distrazione dalla prassi non può confutare il valore di un’attenzione somatica disciplinata. Chiaramente è possibile impegnare se stessi in una somaestetica esperienziale per certi periodi e poi reindirizzarsi a un’innovativa azione nel mondo, essendo meglio preparati a tale azione proprio grazie a quanto si è imparato conoscendo se stessi. Secondo Beauvoir, ciò che sembra fare di una spiccata attenzione somatica una problematica particolare è l’identificazione del corpo con l’immanenza e la passività, dunque, quell’esame della propria esperienza corporea che dovrebbe tendere a rinforzare immanenza e passività identificando se stesse con questa inferiorità della carne. Esaminare la mente nella ricerca critica dell’autoconoscenza non vuol dire condannare ugualmente come passiva l’immanenza, giacché Beauvoir la considera come appartenente alla trascendenza attiva della coscienza. E questo è basilare per la sua prospettiva fenomenologico-esistenzialista.

Con Beauvoir tale asimmetria non può essere soltanto il prodotto del tradizionale dualismo mente/corpo poiché essa afferma l’ambiguità del corpo sia come soggettività sia come oggetto. La sua preoccupazione femminista a proposito di una maggiore attenzione alle sensazioni corporee si spiega meglio considerando il ruolo che essa attribuisce al corpo nel simbolizzare e rinforzare lo stato interiore della donna (sotto il patriarcato) come passività della carne, come mero strumento della riproduzione naturale e come oggetto del desiderio maschile. Se la donna è più abile, partecipando alla propria esistenza corporea e al suo godimento, «è perché la sua condizione la spinge ad attribuire un’estrema importanza alla propria animalità […] perché l’immanenza le è stata data in sorte» (SS: 697-698). Se «subisce la realtà che la sommerge in maniera più appassionata, più patetica», questo deriva dal fatto che è «passiva» (SS: 719).

Beauvoir sembra essere convinta che migliorando la loro consapevolezza dell’esperienza corporea, le donne dovrebbero essere ritemprate nella loro passività ritirandosi dal mondo nell’immanenza oltre ad accentuare la vera dimensione del loro essere (vale a dire l’esperienza corporea) quale maggiore espressione della loro oppressione. Essendo identificate con il corpo e l’interiorità passiva dei suoi sentimenti, le donne trovano maggiore difficoltà ad affermare se stesse nel mondo pubblico dell’azione e dei progetti intellettuali. Tale critica all’attenzione focalizzata sull’esperienza somatica interiore è promossa anche dalle femministe che perorano una maggiore attenzione per le discipline della somaestetica performativa a favore del conferimento di potere alle donne.

L’insistenza di Judith Butler sulle trasgressive attività rappresentazionali del corpo è collegata a un argomento contro «l’illusione di un’interiorità» dell’esperienza somatica che servirebbe come legittimo focus ai fini di una trasformazione e di uno studio critico. L’esperienza interiore del corpo è spiegata, ancora, come l’effetto di un regime discorsivo e performativo che opera sulle superfici esterne del corpo [22]. Essere un effetto, comunque, non significa essere un’illusione. Da una prospettiva diversa, Iris Marion Young parteggia contro la riflessiva «auto- coscienza» somatica, intendendola come un ostacolo a un uso più libero e attivo, che le donne dovrebbero fare dei propri corpi. «Benché sentiamo di avere la nostra attenzione diretta sul nostro corpo, per essere sicure di fare ciò che desideriamo, non prestiamo tuttavia attenzione a ciò che vogliamo fare attraverso i nostri corpi». L’attenzione riflessiva all’esperienza corporea contribuisce quindi alla «timidezza, all’incertezza, all’esitazione» somatica e al «sentimento d’inca- pacità» delle donne. Inoltre, attraverso l’oggettivazione del corpo, quale oggetto della coscienza, l’autoanalisi esperienziale tiene la donna in guardia, «essa sta al suo posto», e spiega «perché le donne tendono frequentemente a non muoversi liberamente, tenendo i loro arti stretti attorno a se stesse» [23]. In breve, l’argomento sembra essere quello secondo cui l’attenzione incentrata sull’esperienza corporea ruota invariabilmente sul sé, inteso come mero oggetto d’indagine, distogliendo perciò l’autoesaminazione somatica della donna dall’impegno verso il mondo e relegandola a quell’immanenza e passività che Beauvoir ha condannato nei termini di una minaccia alla libertà della donna.

Perché l’indagine di un’esperienza somatica dovrebbe necessariamente confinare il sé nell’immanenza e la passività? Se ci fosse un nesso intrinsecamente logico tra l’oggettivazione somatica della coscienza e le proprietà dell’immanenza e della passività, allora gli uomini dovrebbero esserne analogamente affetti. Tuttavia, Beauvoir non pretende che essi lo siano, insistendo invece sul fatto che l’autoconoscenza e «il dominio che un fachiro acquista sul proprio organismo fa sì che non ne sia schiavo» (SS: 773). In ogni caso, l’argomento secondo cui l’indagine di un’esperienza somatica riguarda necessariamente un mero oggetto immanente e passivo è basato su false dicotomie – mente/corpo, soggetto/ oggetto, sé/mondo, attività/passività – che l’apprezzamento, davvero sottile, di Beauvoir per l’ambiguità del corpo mette in questione. La somaestetica esperienziale coinvolge una mente-corpo attiva nella percezione e nel movimento (anche quando questo è solamente il movimento di un braccio di qualcuno che fa meditazione seduto, o la contrazione dei muscoli facciali di qualcuno che si concentra prestando attenzione a qualcosa). L’autoconsapevolezza somatica attiva l’intera persona, come soggetto e come oggetto.

L’argomento di Beauvoir fallisce anche perché l’attenzione a qualcosa, de- terminata da una percezione somatica è sempre qualcosa di più di una mera immanenza del sé; tale percezione va sempre di là dal sé includendo il contesto ambientale in cui è situato il soma. I corpi, come realizza Beauvoir, sono i fuochi di frangenti molto più ampi che formano e condizionano questi corpi. Esattamente come il nostro mondo non può avere senso senza un corpo, i nostri corpi non avrebbero senso senza un mondo. Detto altrimenti, non possiamo mai sentire il nostro corpo puramente in sé, sentiamo il mondo insieme a esso. Come già notato, se rimango immobile e cerco di scrutare e dare un senso al mio corpo, sentirò ferma la sedia o il piano su cui pesa il mio corpo che lo occupa; sentirò l’aria che mi riempie i polmoni, gli effetti della gravità e altre forze esterne al mio sistema nervoso. Per queste ragioni, concordiamo con l’affermazione di Merleau-Ponty, secondo la quale, la coscienza (che include la coscienza del corpo) è sempre «trascendenza attiva. La coscienza che ho di vedere o di sentire non è l’annotazione passiva di un evento psichico chiuso in sé e che mi lascerebbe incerto circa la realtà della cosa vista o sentita […] è il movimento profondo di trascendenza che è il mio essere stesso, il contatto simultaneo con il mio essere e con l’essere del mondo» [24]. La stessa Beauvoir afferma questo, quando definisce il corpo come «l’irradiarsi di una soggettività, lo strumento indispensabile per conoscere il mondo» (SS: 325).

Sebbene il rifiuto di Beauvoir verso il rafforzamento e il potenziale della somaestetica in termini di emancipazione, non siano convincenti, esso ha comunque valore per la sua indicazione dei pericoli e delle insidie che rischiano le donne attraverso una spiccata coltivazione del corpo e dell’autocoscienza somatica. L’idea della cura somaestetica della donna può essere facilmente decostruita e degradata alla mera condizione per ottenere un volto e una silhouette graziosi ai fini del desiderio maschile, un fertile grembo e un nutriente seno, utili al proseguimento della specie. Tali onnipresenti rischi erano sicuramente più minacciosi nel 1949 quando Beauvoir ha scritto il suo libro, prima della rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e dei movimenti delle donne del decennio successivo e prima dell’attuale proliferazione d’interesse verso svariate forme di discipline corporee e sessuali [25]. Gli argomenti cautelativi di Beauvoir contro la formazione somaestetica, sembrano pragmaticamente più giustificati per le donne del suo tempo che non per quelle del nostro [26]. Anche oggi è condivisibile la sua affermazione secondo la quale un’azione politica diretta da gruppi, piuttosto che da sforzi individuali e isolati di salvezza personale, sarà più produttiva e progressista per le donne e gli altri gruppi sociali non privilegiati.

Nonostante questo, come le sensazioni personali di forza e di autoconsapevolezza nutrono molti sentimenti collettivi di potere e solidarietà, altrettanto gli sforzi individuali di accrescimento e rafforzamento della coscienza attraverso la somaestetica (specialmente quando compresa con una consapevolezza di ampi contesti sociali che strutturano una vita corporea) possono contribuire fruttuosa- mente alle grandi lotte politiche i cui risultati formeranno in futuro l’esperienza somatica delle donne. Anzi, una coltivazione somatica migliorata dovrebbe es- sere riconosciuta essenziale per queste lotte, una volta apprezzata l’insostituibile strumentalità per tutta la nostra azione e l’irrinunciabile ruolo individuale nei maggiori ambiti della prassi sociale [27]. Inoltre, assegnare maggiore importanza al completo progresso politico nella sfera pubblica, non nega in alcun modo il valore delle discipline somaestetiche finalizzate alle soddisfazioni personali e alla ricchezza estetica di un sé incarnato, se perseguiamo tali obiettivi attraverso un corpo maschile o femminile.

V.

 Qual è il valore della somaestetica ai fini dell’arricchimento, del conferimento di pieni poteri e dell’emancipazione di una soggettività somatica soggiogata – formata da centinaia di milioni di uomini e donne – nella coscienza incarnata della vecchiaia? Ancora una volta, nonostante il suo scetticismo verso i rimedi pragmatici di una coltivazione somatica, le dettagliate analisi di Beauvoir sui fastidiosi problemi che assillano gli anziani, suggeriscono impetuosamente che, invece, tali rimedi potrebbero essere utili. Anche se non così influente e rigorosamente arguto come Il secondo sesso, La Vieillesse, il suo libro del 1970 (mediocremente intitolato in italiano [come in inglese] La terza età), è visibilmente ricco d’informazioni e intuizioni interne a un’esposizione appassionata di un problema di soggiogamento dell’alterità, che oggi la filosofia largamente ignora e fermamente nega.

Parallelamente alla sua prospettiva sulla dominazione della donna, Beauvoir afferma effettivamente che sebbene le differenze corporee e le debolezze abbiano un ruolo importante nello stato di subordinazione e di dominazione della coscienza degli anziani, questo non sia semplicemente un caso di necessità naturale in cui la fisiologia è considerabile come il destino. Benché per la nostra società «la vecchiaia appare come una sorta di segreto vergognoso, di cui non sta bene parlare» (TE: 11), Beauvoir mostra che in altre culture e periodi storici i vecchi erano tenuti in grande considerazione.

Tuttavia questo stato di elevazione, come nel caso della donna ammirata, non è «mai una sua conquista, ma essa è tale per concessione altrui», da ciò che Beauvoir considera come il reale potere della società – il maschio adulto, che dovrebbe avere ragioni per affermare il valore della vecchiaia, per esempio, come strumento per assicurare la conservazione della tradizione e della cultura, e preservare il proprio potere come la sua età (TE: 86). Ma anche tale autorità concessa (che abbisogna essa stessa di essere in qualche modo guadagnata o rivendicata) implica chiaramente che la soggiogamento della vecchiaia non sia una mera questione di necessità naturale, ma il prodotto di un’intera struttura sociale, istituzionale e ideologica.

Quando una cultura si evolve davvero lentamente e dà grande rispetto all’esperienza della tradizione e alla morte ancestrale, allora i vecchi che incarnano questa esperienza tradizionale, e sono i più vicini alla morte, sono conseguentemente investiti di grande autorità. Tuttavia, nelle società che favoriscono la trasformazione e questi valori mondani, sono la gioventù e il fiore della vita a essere idolatrati (poiché essi rappresentano la promessa e l’intervento del cambiamento), mentre gli anziani sono licenziati come inutili seccatori investiti dal progresso. Non sorprendentemente nella nostra cultura «il prestigio della vecchiaia è molto diminuito per il fatto che la nozione di esperienza è caduta in discredito» (TE: 199). La società tecnologica moderna, con il suo passo invettivo sempre più accelerato, mostra come l’esperienza del passato e le vecchie capacità che non possono essere utilmente accumulate e applicate diventino invece un onere obsoleto che rallenta la velocità necessaria a tenere il passo con la novità. Nonostante il crescente mercato dell’anzianità, l’affamata ricerca del capitalismo di nuove generazioni di giovani consumatori (ansiosi di provare nuove comodità promettendo molti altri anni di consumo) rinforzano la nostra cultura della svalutazione degli anziani. Come riconosce Beauvoir, è il significato che «gli uomini attribuiscono alla propria esistenza, è il complesso del loro sistema di valori che definisce il significato e il valore della vecchiaia». Inversamente, i «principi» e i «fini» della società sono rivelati dal trattamento che le persone riservano agli anziani. (TE: 87).

Se l’infelice condizione di dominazione degli anziani è essenzialmente il prodotto del potere sociale, e non delle limitazioni corporee (che sono semplicemente occasioni o strumenti per marcare e naturalizzare questo potere) allora, arguisce Beauvoir, l’unico modo di dare pieni poteri agli anziani, è quello di una trasformazione globale della società e dei suoi valori.

Il nostro «scandaloso» trattamento della vecchiaia, è visto da Beauvoir come inevitabilmente emergente dall’ignobile trattamento che la società infligge alle persone durante la loro gioventù e la loro maturità. «Essa prefabbrica la condizione mutilata e miserabile cui sono condannati nell’età avanzata. È per colpa sua che la decadenza senile comincia prematuramente, ed è rapida, fisicamente dolorosa, e moralmente spaventosa, poiché esso l’affrontano a mani vuote». Sfruttati da una società rapacemente affamata di profitto, mentre hanno forza per lavorare, gli operai «una volta che abbiano perso le loro forze, facilmente divengono dei “rottami” e dei “rifiuti”». La pervasività di quest’oppressione sociale, ribatte Beauvoir, vizia tutti i metodi frammentari di miglioramento della vecchiaia; tali «rimedi» sono «irrisori», poiché queste vite e la salute delle persone «non possono essere ridate indietro». «Non ci si può più accontentare di esigere una “politica della vecchiaia” più generosa, un aumento delle pensioni, alloggi sani, divertimenti organizzati. È tutto sistema che è in questione, e l’alternativa non può che essere radicale: bisogna cambiare la vita» (TE: 497-498).

I fattori sociali sono innegabilmente dominanti nella soggiogamento della vecchiaia, e il richiamo di Beauvoir al rifacimento globale della società che assicuri grande giustizia per giovani e anziani è innegabilmente ispiratore. Meno stringente è invece la sua sdegnosa noncuranza dei rimedi frammentari, in particolare perché tali soluzioni parziali o limitate forniscono necessariamente moduli e incoraggianti modelli per il raggiungimento del cambiamento sociale globale. Qui mi limito a considerare la noncuranza di Beauvoir verso i metodi di somaestetica che potrebbero aiutare a ritardare, a sopraffare, o persino ad arretrare alle incapacità corporee che si manifestano con l’aumento dell’età e che determinano in gran parte il senso di negazione e declino che definisce la vecchiaia nella nostra cultura [28]. Le sue analisi dei problemi della vecchiaia, argomenterò, implicano chiaramente il valore della coltivazione  somatica.

Primo, che cosa è esattamente la vecchiaia per Beauvoir? Lei non dà mai a questo concetto una rigorosa analisi logica. Affermando che la vecchiaia «non è solamente un fatto biologico, ma anche culturale», tuttavia, per fare chiarezza (considerando la soglia dell’età pensionabile ai suoi tempi) Beauvoir definisce i termini «vecchio, anziano ed età» secondo un’accezione oggettiva cronologica con termini come «persone dai sessantacinque anni in su» (TE: 21). Da una parte, Beauvoir sembra essere sensibile all’ambiguità del concetto di età riconoscendo che «l’età cronologica e l’età biologica sono lungi dall’essere sempre coincidenti», e dunque che una persona di sessantacinque anni potrebbe essere fisicamente molto più attiva, in questo senso fisiologicamente, che non un giovane di cinquantacinque anni. D’altra parte, insiste sul fatto che «l’espressione “un sessantenne” traduce per tutti quanti uno stesso fatto. Corrisponde ad alcuni fenomeni biologici che un esame medico metterebbe in luce» (TE: 37, 263- 264). C’è anche l’età che uno vede, che può essere distinta da quella biologica. Beauvoir sembra dare a questo senso di età rappresentata o manifesta notevole importanza: «l’aspetto fisico informa meglio degli esami fisiologici sul numero dei nostri anni» (TE: 37).

In aggiunta a questi sensi dell’età (cronologico, fisiologico e rappresentazionale), un’opportuna analisi di questo concetto dovrebbe favorire l’inclusione di un altro senso esperienziale dell’età (la sensazione di essere un uomo vecchio, di mezza età o al culmine) e, inoltre, di un senso performativo che riguardi le abilità pratiche. Un senso utile a distinguere una persona all’inizio della vita da una che ha limiti funzionali dovuti alla vecchiaia. La discussione di Beauvoir riguardo alla vecchiaia poggia su questi diversi sensi senza distinguerli consistentemente o con chiarezza. Benché l’età cronologica sia una base di riferimento oggettivo che non può essere influenzata (a parte le accezioni, ancora a mala pena immaginabili, del viaggio nel tempo e dell’ibernazione), le altre dimensioni dell’invecchiamento sono molto suscettibili alla coltivazione somatica più di quanto  Beauvoir riconosca.

VI.

Una delle affermazioni più sorprendenti sulla vecchiaia è a proposito del suo essere conoscibile e definibile solo dall’esterno. Non può essere diretta- mente esperita «per sé» in un modo puramente soggettivo ma può essere colta solo indirettamente come una condizione oggettiva del sé, dalla prospettiva definita dallo sguardo altrui, quello esterno che considera quel sé come vecchio. Per Beauvoir la vecchiaia «è un rapporto dialettico tra il mio essere e gli altri, quale si definisce obiettivamente, e la coscienza che prendo di me stessa attraverso di esso. In me, è l’altro che è invecchiato, cioè quello che io sono per gli altri; quest’altro sono io» (TE: 263). La vecchiaia, dunque, è sempre esperita come qualcosa di alieno, che è imposto a qualcuno attraverso lo sguardo degli altri – ugualmente al modo in cui le donne sentono la loro identità come inessenziale, poiché imposta dall’altro attraverso il privilegio sociale e lo sguardo maschile che la definisce. «L’individuo anziano si sente vecchio attraverso gli altri senza aver provato serie mutazioni». Mancando una «piena esperienza interiore» della vecchiaia, «interiormente» viene accettata con fastidio un’etichetta elaborata dall’esterno, perciò «egli non sa più chi è»; da ciò deriva la sconsolante confusione e l’imbarazzante alienazione tipiche della vecchiaia (TE: 270-271). Questa preoccupante disarmonia, e alienante sconnessione tra esterno e interno, questa incapacità di fare esperienza dall’interno delle sensazioni somatiche dell’invecchiamento richiede, chiaramente, metodi di somaestetica esperienziale che migliorino la nostra capacità di conoscere, abitare e, in una certa misura, anche modificare l’esperienza qualitativa e i segnali  propriocettivi  dell’età avanzata.

Prima di indagare questo punto, si noti come il valore della somaestetica rappresentazionale è altrettanto implicito nell’affermazione di Beauvoir secondo la quale la vecchiaia è definita essenzialmente dallo sguardo dell’osservatore esterno. Poiché tali osservatori non determinano la nostra età leggendo il nostro certificato di nascita, ma giudicando il nostro aspetto, se noi non guardiamo i vecchi o le donne come fossero in declino, allora essi non potranno essere trattati come tali. Perciò, lavorando al fine di mantenere l’aspetto del nostro corpo lontano dalla decadenza, potremmo evitare al meglio questa etichetta discriminatoria e il soggiogamento sociale che comporta. Milioni di donne e di uomini (di diverse etnie, culture e classi sociali) apprezzano chiaramente questa logica, dedicando molto tempo e ingenti somme di denaro a trattamenti cosmetici e altri metodi utili a modellare il loro look, al fine di mantenerlo giovanile rispetto alla propria età cronologica (e anche a quella psicologica e performativa).

Dobbiamo semplicemente condannarli per il clamoroso successo riscosso nella società, della loro preoccupazione per l’aspetto esteriore? Una risposta facile per questo quesito ignorerebbe ingiustamente che alcune apparenze superficiali (incluse quelle della vecchiaia) sono preziose perché cariche di contenuti profondi che formano significativamente la realtà sociale; non possono essere semplicemente ignorate, ma anzi devono essere negoziate o spiegate al fine di supportare un potere sociale individuale. Un dirigente di affari economici che ha successo ambisce a una forza progettuale, un dinamismo, un’energia e una promessa per il futuro che non potrebbe mantenere con la propria immagine (e conseguentemente con la propria posizione) se si vedesse troppo vecchio e indebolito. Perciò egli preserva la sua autorità sociale cercando di avere un aspetto dinamico e giovanile che, senza smentire la sua età, mostra il rifiuto del presupposto secondo cui l’avanzare dell’età comporta debolezza fisica. Tali sforzi possono avere effetti molto più che personali. Se molte persone anziane hanno progettato con successo un’immagine di sé giovanile, vigorosa e vitale, allora l’associazione automatica della vecchiaia all’essere decrepito e non attraente dovrebbe essere licenziata e con ciò molte delle caratteristiche sociali della vecchiaia che contribuiscono al suo indebolimento.

Questo non significa che i settantenni dovrebbero cercare di vedersi come dei diciassettenni o, forse, dei trentasettenni. La ridicola futilità di questo tentativo non nega in nessun modo il valore della somaestetica rappresentazionale per conferire potere agli anziani. Al contrario, mostra che l’attenzione alla somaestetica è dovuta al bisogno di sviluppare nuove immagini del vigore e della capacità fisica, che sono appropriate per gli anziani, mentre vengono esplorati anche i metodi più opportuni per realizzarle nella pratica. Con gli stereotipi di bellezza limitati alle forme esteriori dei ragazzi fatte proprie dai quarantenni, non vi è possibilità apparente per un aspetto attraente della vecchiaia tale che potere e dignità possano servire per l’autorità sociale degli anziani.

Per milioni di figli del baby boom che si avvicinano alla vecchiaia, riluttanti ad abbandonare la propria immagine del dinamismo energetico generata dalla cultura dominante dei giovani che ha conformato la loro psiche, vi è un interesse sempre più urgente per la ricerca di quei modelli d’invecchiamento sano e attraente.

Beauvoir riconosce che il senso di potere delle donne è stato favorito da «una nuova estetica» dell’aspetto somatico che ha trasformato lo stereotipo stabilito di una carne morbida, passiva e femminile in una nuova immagine corporea di «carne muscolosa, agile, robusta […] indizio di trascendenza» e attività (SS: 313). Al contempo, tuttavia, essa non riesce a fare un ragionamento parallelo per il valore trasformativo di una nuova potenziale somaestetica per l’invecchiamento. I metodi per migliorare l’aspetto fisico, spesso si sovrappongono alle discipline che mirano a ottimizzare la salute e le prestazioni. Nonostante il bodybuilding, per esempio, si concentri soprattutto sull’aspetto esteriore, le sue tecniche e i suoi benefici si estendono all’allenamento per il rafforzamento della somaestetica performativa, il cui obiettivo non è la semplice immagine della potenza funzionale e del vigore sano, bensì il loro utilizzo nella pratica e nella realtà vissuta. La maggior parte delle persone a dieta ha prima di tutto un aspetto più attraente e snello, ma la loro perdita di peso, l’esercizio fisico, e le abitudini alimentari più salutari determinano in genere una salute migliore, maggiore energia e di conseguenza prestazioni fisiche migliori. Perché la nostra cultura premi la funzionalità corporea e il potenziamento performativo, è essenziale sostenere l’efficacia personale necessaria al completo riconoscimento sociale che agli anziani, nella loro inefficace debolezza, viene così spesso negato.

Alla notizia di questa intuizione fondamentale, Beauvoir identifica e rifiuta astutamente un pervasivo e influente argomento filosofico al fine di scrollarsi di dosso i problemi della vecchiaia e della debolezza, interpretando invece l’indebolimento somatico come una benedizione sotto mentite spoglie. Da quando Platone ha affermato che la vecchiaia ci solleva da passioni sfrenate, alimentate dal vigore di un corpo giovanile, i filosofi hanno spesso sostenuto che la debolezza del corpo o la sua afflizione promuove la forza dell’anima, incoraggiandoci a concentrarci su questa parte più alta di noi. Beauvoir contesta con veemenza queste pretese, ritenendole «scemenze spiritualiste» e «indecenti» poiché rifiutano di affrontare la genuina esperienza e le condizioni della vecchiaia (TE: 293).

Anche se l’età porta al declino delle ghiandole sessuali e alla conseguente riduzione delle funzioni genitali, Beauvoir offre, con ampia evidenza, la prospettiva secondo cui gli anziani non si sono liberati dal desiderio sessuale e dalle altre passioni (TE: 294, 321). Poiché il desiderio e l’attività sessuale non sono limitati al comportamento genitale, essi possono continuare altrettanto bene durante la vecchiaia. La libido, inoltre, non è una mera guida fisica bensì «psicosomatica», formata da un contesto socioculturale (TE: 294-295, 297). Nondimeno, prospera sulla salute fisica (come anche, in ultima analisi, sull’energia mentale). Siccome la sessualità forma un’importante parte del nostro senso del sé, la perdita della libido attraverso la debolezza somatica dell’invecchiamento è «una mutilazione [che] ne comporta altre, poiché sessualità, vitalità e attività, sono indissolubilmente legate» (TE: 325). Eppure, Beauvoir non giunge alla conclusione che gli anziani debbano sistematicamente lavorare sulla loro buona salute al fine di rafforzare le loro risorse energetiche per maturare una libido forte, insieme a un potere performativo da esercitare come ricompensa nel contatto erotico che: attiva piaceri, rinforza il senso di dinamismo di una persona e il benessere energetico [29].

Al di là della reale esperienza sessuale è ugualmente chiaro che l’infermità corporea non libera la mente ma carica invece la coscienza di incessanti preoccupazioni connesse alla sofferenza e al dolore, mentre depriva l’energia richiesta per sostenere il pensiero e il suo sforzo. Come scriveva Rousseau, «più il corpo è debole più comanda» l’anima [30]. «Il dramma del vecchio», scrive Beauvoir, «è dato assai spesso dal fatto ch’egli non può più ciò che vuole. Concepisce, progetta, e, al momento d’eseguire, il suo organismo si sottrae» (TE: 292). Sebbene enfatizzi la debolezza somatica della vecchiaia, che disabilita le prestazioni e diminuisce quindi la fiducia in se stessi e la presenza sociale, Beauvoir nota che spesso gli anziani atleti riescono a «compensare [le loro] capacità perdute fino a un’età avanzata», perché hanno acquistato in precedenza una «tecnica sperimentata» e «un’esatta conoscenza del loro corpo». Essi «si conservano in forma» controllando la loro capacità di farsi rispettare socialmente (TE: 38). Tuttavia, sembra che Beauvoir non condivida mai che l’allenamento sistematico (delle tecniche sia performative sia esperienziali) possa migliorare il funzionamento somatico della popolazione anziana in generale, anche se questo rimedio seguisse chiaramente dalle cause che lei indica per il declino della vecchiaia.

Se si perdono lo statuto sociale e l’autostima a causa di una diminuzione funzionale della forza, della salute e dell’energia, allora queste carenze possono essere mitigate e rinviate attraverso metodi che favoriscono lo sviluppo del vigore e delle abilità somatiche. Dolori e sofferenze dell’età della malattia, molte delle quali possono essere prevenute attraverso il miglioramento del benessere somatico, potrebbero altrettanto ispirare lo studio delle discipline salutari e della cura somatica. Allo stesso modo le pratiche della somaestetica esperienziale possono indirizzare l’auto-alienazione generata dall’incapacità di sentire effettivamente e accuratamente di occupare un corpo anziano. Se i vecchi hanno perso il loro sapore piccante per l’attività, perché la forza e l’energia sono insufficienti per le piene prestazioni dei loro progetti, allora la loro condizione può essere contraddetta dai metodi somatici al fine di supportare e spesso costruire forza ed energia. La tristezza stantia della vecchiaia, afferma Beauvoir, non è dovuta al peso delle nostre memorie, ma «perché la nostra visione non è animata da nuovi progetti» che stimolano l’attività e l’interesse reciprocamente richiesti. «Nel vecchio la mancanza di curiosità, il disinteresse, sono accentuati dal suo stato biologico» – ammette Beauvoir. «Essere attento al mondo lo affatica. Anche  i valori che avevano dato un senso alla sua vita, spesso non ha più la forza di affermarli» (TE: 415-416).

Eppure, Beauvoir non riesce a difendere un allenamento sistematico del corpo finalizzato a mantenere la forza e il vigore biologico necessari a perseguire quei progetti che investono la vita di qualcuno con interesse, significato e valore. Sebbene conceda pure che «moralmente, l’ostinazione dei vecchi sportivi ha qualcosa di tonico» e potrebbe anche aiutare le loro funzioni somatiche, Beauvoir enfatizza i pericoli fisiologici dello sport e la loro inefficacia per preservare la salute degli anziani: «dopo i sessant’anni per i due terzi di loro la pratica dello sport è rischiosa […] [e] non rallenta la senescenza degli organi» (TE: 291-292). La recente scienza dell’invecchiamento fornisce un’invitante revisione alla prospettiva di Beauvoir su tali questioni, e invita molti anziani a riconoscere che l’esercizio vigoroso non è riservato solo a un gruppo elitario di ex atleti, ma costituisce un mezzo decisivo per tutti i tipi di persone vecchie che vogliono migliorare le loro funzioni vitali e la loro salute. L’esercizio, non solo ritarda l’indebolimento del corpo correlato all’età ma, qualche volta, può persino contrastarlo. L’invecchiamento del sistema scheletrico, espresso frequentemente dalla figura dell’anziano storto e con la gobba, è primariamente il risultato «della perdita di calcio dalle ossa» ed è «molto più presente nelle donne che negli uomini». Benché la causa attuale di questa perdita «non è conosciuta, e non ci siano metodi certi di prevenzione […], numerosi studi hanno mostrato che l’esercizio fisico regolare può significativamente ridurre il tasso di perdita di calcio dalle ossa» [31]. Gli studi mostrano chiaramente che un programma sistematico di esercizio è «la migliore difesa contro l’atrofia dei muscoli», e può «incrementare la forza dei muscoli perfino nei settantenni», mentre apparentemente migliora anche «l’attività metabolica generale delle cellule dei muscoli esercitati» e «la capacità dei nervi di stimolare le fibre muscolari» [32]. I problemi cardiovascolari più gravi della vecchiaia includono una decrescita del ritmo cardiaco, e del consumo generale di ossigeno (il tutto associato alla debolezza del funzionamento del ventricolo sinistro), insieme all’innalzamento della pressione sanguigna (dovuta alla diminuzione di elasticità e del diametro interno delle arterie). Numerosi studi hanno dimostrato che questi declini possono essere attenuati attraverso un regime programmatico di esercizio e di dieta vigorosa (a favore della pressione sanguigna). Alcune ricerche indicano che «individui intorno ai settant’anni possono aumentare il loro consumo di ossigenazione massima seguendo un programma di allenamento alla resistenza, e l’intensità necessaria a conseguire tale progresso, è lenta quanto necessaria anche nelle persone più giovani» [33].

La somaestetica performativa non si limita al vigoroso esercizio e all’allenamento. I sottili metodi della somaestetica non richiedono sforzi faticosi ma possono spesso rimediare alle incapacità funzionali correlate all’età che caricano gli anziani di dolore, incapacità e senso d’indebolimento, ostacolando il conseguimento dei loro progetti di arricchire le proprie vite di maggiore significato, azione e valore. Lasciatemi fare un esempio tratto dalla mia attività di praticante del metodo Feldenkrais. Un uomo anziano, sugli ottant’anni, è venuto da me per chiedermi aiuto perché sentiva male alle ginocchia e il dolore lo metteva in difficoltà a stare in piedi e a sedersi. Era particolarmente frustrato e depresso per via di tale problema che, tra l’altro, inibiva anche il suo comportamento normalmente dinamico ed energico, tanto che ogni suo impulso frequente a prendere qualcosa – persino ad afferrare un bicchiere d’acqua o un libro da leggere – doveva essere riconsiderato in base al prezzo del suo dolore. Le pillole e le iniezioni prescritte dai dottori non lo aiutavano e gli era stato detto che avrebbe dovuto sopportare il dolore quale scotto della longevità. Quando ho esaminato il modo in cui si alzava dalla sedia, ho notato che usava lo stesso meccanismo di base che molti di noi usano quando sono giovani e forti: alzarsi tirando su se stessi in verticale, premendo con forza i piedi sul suolo e spingendo sulle ginocchia. Questo comporta uno sforzo considerevole e una pressione sulle giunture del ginocchio che può facilmente causare dolore quando sono danneggiate o semplicemente deboli e  vecchie.

Tuttavia, uno potrebbe anche imparare ad alzarsi dalla posizione di seduta portando la testa, le spalle, le braccia e il torso in avanti, lasciando queste parti superiori del corpo affondare, provvisoriamente, in avanti verso terra. Questo spostamento del peso superiore del corpo (anatomicamente più pesante nella sua parte superiore) lo tirerà verso il basso, mentre le gambe andranno facilmente verso l’alto resistendo alla nostra richiesta di piegare le ginocchia. Dopo un paio di lezioni, il mio ottantenne era capace di padroneggiare questo nuovo modo di alzarsi, al quale si è abituato per la sua vita quotidiana. Il problema delle ginocchia è scomparso. Il suo grande potere di alzarsi in piedi non è dovuto all’incremento dello sforzo o della forza muscolare. Proviene dalla forza di gravità, lavorando su un minore supporto scheletrico al corpo. Questo significa che l’aumento dell’attività performativa non è conseguito a un autonomo potere ricostituente del corpo, piuttosto grazie all’apprendimento di un metodo più intelligente di utilizzo dei poteri, in gran parte della natura, che si sovrappongono e occupano l’intero corpo e il sé di un individuo.

Padroneggiando questo metodo per alzarsi, l’ottantenne ha maturato una considerevole consapevolezza propriocettiva delle posizioni della sua testa, dei suoi arti e del suo torso e ha acquistato maggiore coscienza del senso di equilibrio in rapporto al peso superiore del suo corpo e della sua testa più vicina al piano, una posizione che inizialmente può essere avvertita spaventosamente come una caduta. Questa ricerca del rafforzamento della consapevolezza esperienziale finalizzata a migliorare le capacità motorie, esemplifica la sovrapposizione interattiva tra la somaestetica performativa e quella esperienziale. Come il pesista esige di distinguere esperienzialmente il dolore, qual è quello dei muscoli allenati, dal dolore che segnala un danno, parimenti il vecchio che si esercita cerca di sviluppare un migliore senso esperienziale del proprio sé corporeo, sfuggendo all’ingiuria causata dal sovraffaticamento o dall’abuso di esercizio. Migliorando l’auto-consapevolezza dell’interiorità somatica attraverso l’allenamento somaestetico, egli combina decisivamente la famosa richiesta filosofica «conosci te stesso» con la seconda massima Delfica «nulla di troppo» che insiste sul discernimento dovuto alla misura.

Uno dei radicali problemi della vecchiaia, afferma Beauvoir, è la nostra fonda- mentale incapacità esperienziale di sentirla propriamente dall’interno, al punto che «ci prende di sorpresa», quasi fosse una condizione impostaci «dall’esterno» attraverso il giudizio oggettivante degli altri: «la nostra esperienza non ci indica il numero dei nostri anni» (TE: 263-264). Perciò, la maldestra e scoraggiante confusione dovuta all’alienazione della vecchiaia, nella quale uno si sente come se fosse «l’altro che è vecchio», non è un vero e proprio essere se stessi (TE: 267). Tuttavia se applichiamo abilmente certe tecniche di somaestetica esperienziale, quale l’intensa consapevolezza somatica (per esempio la meditazione tipica del metodo Feldenkrais che invita all’autoconoscenza corporea), noi possiamo diventare molto più abili a identificare e diagnosticare le nostre sensazioni corporee, perciò più abili a percepire e monitorare le trasformazioni somatiche dell’invecchiamento dall’interno. Inoltre, potremmo vivere confortevolmente la nostra età senza sentirla come un’identità inaccettabile e indecifrabile impostaci dagli altri. Anche i limiti indesiderati sono più facili da gestire se sono imposti e percepiti come parte di noi piuttosto che come inflitti dall’esterno.

L’acuta consapevolezza somaestetica migliora anche la nostra capacità di distinguere tra i cambiamenti del mero declino indotto dall’avanzamento dell’età e quello causato dall’effettivo disagio o dalla disfunzione che potrebbe (o meno) essere correlata all’età. Possiamo quindi diagnosticare e rimediare meglio a questi disagi indotti dalla sofferenza, anziché considerarli semplicemente quale parte di un inevitabile processo di invecchiamento. Riconoscendo che la salute degli anziani è seriamente minacciata dal loro rifiuto, data la loro tendenza «a confondere una malattia guaribile con un invecchiamento irreversibile» (TE: 264), Beauvoir non riesce comunque a raccomandare alcuno sforzo di attenzione somaestetica finalizzato a distinguere le sensazioni di malattia e di danno da quelle di mero indebolimento provocato dalla  vecchiaia.

Perché essa rifiuta l’incremento di conoscenze e capacità per gli anziani? Anche in questo caso, come per le donne, Beauvoir teme che l’autocoscienza somatica incoraggi l’immanenza ma scoraggi ciò che ritiene la chiave del significato e del valore della vita: la trascendenza attraverso la progettualità. Se l’attenzione focalizzata sulle sensazioni corporee rimane entro l’immanenza passiva della carne, in contrasto con la trascendenza dinamica dell’«ego», allora i progetti rilevanti della vecchiaia non possono includere l’incremento della nostra autoconoscenza somatica dell’invecchiamento in modo da vivere la nostra età più efficacemente. Gli «scopi», insiste Beauvoir, «non concernono che le nostre attività. Subire l’età non è tra queste. Crescere, maturare, invecchiare, morire: il passare del tempo è una fatalità» (TE: 495).

Coltivare l’acume somaestetico al fine di conoscere e monitorare il proprio invecchiamento non è qualcosa di inevitabilmente passivo, è semmai un progetto attivo di indagine cognitiva qual è il conseguimento disciplinato, abilmente ed esemplarmente, di un invecchiamento saggio. Anche se, come molti altri progetti, è anch’esso vulnerabile al fallimento. Per «dare un senso alla nostra esistenza» nella vecchiaia, insiste Beauvoir, «non v’è che una soluzione, e cioè di continuare a perseguire dei fini […]: dedizione verso le altre persone, a una collettività, a una qualche causa, al lavoro sociale, o politico, o intellettuale o creativo». Perciò, noi abbiamo bisogno di «passioni abbastanza forti perché ci evitino di ripiegarci su noi stessi», simili a una svolta interiore, un peccato di immanenza, soffocante e isolato, di ritiro dal mondo (ibidem). Ma ancora una volta, poiché l’autocoscienza somatica comporta sempre una sfera ambientale significativamente più estesa del sé, il problema dell’isolamento autistico non sta con quello dell’autocoltivazione somaestetica per sé, ma con il fallimento di riconoscere quanto il sé dipenda da, e si integri con, gli ambienti che forma. Del resto, come la capacità stessa di avere «passioni» per progetti rilevanti richiede un adeguato «stato biologico» di energia o di forza (TE: 416), altrettanto la vecchiaia diventa sempre più dipendente dalla coltivazione somatica e dalla cura del sé per sopportare tale potenza. Anche se la difesa personale della salute somatica è semplicemente un mezzo molto più nobile per le finalità dell’individuo rimane ancora, attraverso la sua strumentalità cruciale, un progetto fruttuoso.

Prendiamo seriamente tali strumenti, perché una valutazione delle finalità raggiungibili attraverso di essi è anche un principio cardine pragmatista. Tuttavia, prima di passare al pragmatismo incarnato di William James e John Dewey, dedichiamo il prossimo capitolo alla teoria somatica di Ludwig Wittgenstein il cui lavoro, dall’enorme influenza in filosofia analitica della mente, include un’affascinante indagine sul ruolo delle sensazioni  corporee [34].

NOTE

1 Traduzione dall’inglese di Davide Dal  Sasso. Già comparso in Rivista di estetica, n.s., numero speciale, supplemento al n. 58  (1/2015) LV, pp. 149-182 © Rosenberg & Sellier. Revisione di Federica Giardini per Iaph Italia.

2 Ai fini della traduzione di questo testo sono state consultate e scelte come riferimento le seguenti edizioni italiane: Il secondo sesso, tr. it. R. Cantini e M. Andreose, Milano, il Saggiatore, 1991; La terza età, tr. it. B. Fonzi, Torino, Einaudi, 1988. Da ora in avanti il primo sarà indicato con SS e il secondo con TE. Ove non altrimenti indicato, le traduzioni in italiano di altri testi citati dall’autore in nota sono opera del traduttore (N.d.T.).

3 Simone de Beauvoir, Le deuxième sexe, Paris, Gallimard, 1949 e La Vieillesse, Paris, Gallimard, 1970. Per il primo, cito dalla traduzione inglese, The Second Sex, tradotto da H.M. Parshley, New York, Vintage, 1989. Il testo di Parshley purtroppo è una restituzione riduttiva e spesso mal tradotta dell’originale. Per questo motivo, utilizzo di tanto in tanto la mia traduzione. Per una critica radicale alla traduzione di Parshley, si veda Simons 1999. La Vieillesse, tradotto in inglese da Patrick O’Brien, è stato pubblicato come The Coming of Age, New York, Putnam, 1972.

4 Cfr. SS: 60 e De Beauvoir 1947. Il ruolo cruciale del corpo nella libertà è particolarmente evidente quando la si concepisce non strettamente nei termini di una libertà negativa imposta da vincoli sociali, bensì in quelli di positive capacità performative. Un bambino è libero nel senso negativo di camminare, tuttavia non ha la libertà positiva di farlo fino a che non padroneggia la relativa competenza del proprio corpo. La potenza corporea, ossia il movimento, è forse la radice elementare del nostro concetto di libertà, come ho sostenuto in Shusterman 2006.

5 Cfr. Shusterman 2008: 39-75 (N.d.T.).

6 Si veda Moi 1990: 27, 32. Un pericolo simile esiste usando la narrazione di Beauvoir per indagare le sue prospettive somatiche. I suoi argomenti filosofici su tali questioni, potrebbero essere liquidati intendendoli essenzialmente come una continuazione delle sue riflessioni sulla finzione e, quindi, non essere presi come filosofia seria. In tal caso, Beauvoir potrebbe essere banalizzata, essendo vista come una semplice scrittrice anziché come una “vera” filosofa. Sfortunatamente, la strategia di marginalizzazione della filosofia è incoraggiata dalla sua preferenza a farsi chiamare scrittrice anziché ad assumere il titolo di filosofa (apparentemente per rispetto verso la statura filosofica di Sartre). Concordo con Margaret Simons, Debra Bergoffen e molte altre nel classificare Beauvoir come un’importante filosofa. In proposito, si veda Simons 1999.

7 «Mi sono spesso domandata quale fosse la ragione e il senso di queste mie rabbie. Credo ch’esse si spieghino in parte con una profonda vitalità, e con un estremismo cui non ho mai rinunciato del tutto», scrive Beauvoir, identificando la sua passione per la «violenza» come risalente alla sua infanzia, all’età di tre anni. Cfr. De Beauvoir 1958: 15, 308. Un biografo riferisce che durante l’adolescenza Beauvoir abbia espresso la propria devozione religiosa in termini davvero    violenti «chiudendosi in bagno e mortificando la sua carne sfregandosi sulle cosce una pietra pomice e frustandosi con una collana d’oro fino a farsi uscire il sangue». In proposito, si veda Francis e Gontier 1985: 42. Tale negatività verso la carne sembra riflettere la forte avversione della madre di Beauvoir per il fisico, che «spinse al disprezzo del corpo, per sé e per le sue figlie, fino al punto dell’impurità» (ivi: 35). Beauvoir confessa che le è stato insegnato a «non guardare mai il [suo] corpo nudo», perché «tutto il corpo, partecipa all’indecenza» delle sue funzioni; e che sua madre non le aveva mai spiegato le vere funzioni del corpo, insinuando che «i neonati uscivano dall’ano» (De Beauvoir 1958: 61, 84, 89). Per materiali autobiografici aggiuntivi, si veda anche de Beauvoir 1960; 1966; e il suo resoconto della malattia terminale della madre in de Beauvoir 1964. Per altre informazioni biografiche, si veda Jeanson 1966; Bair 1990; Ascher 1981.

8 Sebbene Sartre riconosca il corpo come espressione attiva all’azione [active-acting] della soggettività della trascendenza, che può essere distinto dal corpo come mera carne passiva, egli tende a svalutare il corpo considerandolo in generale come fatticità immanente in contrasto con la coscienza trascendente, come debole e infetto da oscurità, come la dimensione visibile e materiale di una persona che contribuiscono a esporla allo sguardo degli altri, e quindi alla minaccia di essere oggettivato e, come una cosa, essere dominato dalla soggettività altrui. Come notano Moi e altri, la svalutazione retorica e la prospettiva problematica che esprime Beauvoir nei confronti del corpo (e in particolare del corpo femminile) si deve all’influenza di Sartre. Si veda Moi, 1994: 152-153, 170. Inoltre, nelle interviste sul Secondo sesso, dove Beauvoir affer- mava l’influenza dominante della filosofia di Sartre sulla sua, essa sosteneva anche che la sua prospettiva sul corpo era fondamentalmente sartriana. In proposito si vedano anche le interviste in Simons 1999: capp. 1, 4-5. Comunque, Simons e altre filosofe femministe, tra le quali Debra Bergoffen e Karen Vintges, rifiutano di prendere Beauvoir in parola e insistono giustamente sul fatto che la sua filosofia “ha ridefinito e saputo trascendere” le idee di Sartre (cfr. Simons 1999: 2). In particolare, Bergoffen e Vintges sostengono che la filosofia somatica di Beauvoir discenda significativamente da quella di Sartre, sebbene Beauvoir tenda a chiarire i concetti e la retorica sartriana. Non solo andando oltre l’approfondimento di Sarte sull’ontologia generale del corpo, fornendo ricche analisi fisiologiche, storiche, sociali e politiche dei corpi delle donne, ma anche per la capacità di enfatizzare, molto più di quanto non lo faccia Sartre (e ancor più di Merleau-Ponty) l’ambiguità del corpo come intenzionalità e carne, e gli aspetti positivi di tale ambiguità. In altre parole, Beauvoir accettando la carne, accetta la sua vulnerabilità e le possi- bilità emozionali da questa derivabili. Si veda specialmente Bergoffen 1997: 11-42, 141-181; e Vintges 1996: 25, 39-45. Occasionalmente, la stessa Beauvoir riconosce la divergenza dalla prospettiva sartriana sul corpo. «Io rimproveravo a Sartre di considerare il suo corpo come un fascio di muscoli striati e d’averlo amputato dal suo sistema simpatico; se si cedeva alle lacrime, alle crisi di nervi, al mal di mare, ciò dipendeva dal fatto che vi si metteva del compiacimento, diceva lui. Io sostenevo che lo stomaco, le ghiandole lacrimali, e la stessa testa, obbediscono a forze irreprimibili» (De Beauvoir 1960: 111).

9 Debra Bergoffen descrive questa sorta di tensione presente nel Secondo sesso, nei termini di una tensione tra la «voce dominante» di Beauvoir (che indentifica la soggettività con trascendenza) e la sua «voce ammutolita» che «sfida l’equazione: soggettività uguale a trascendenza», e vede invece la soggettività in termini di «ambiguità del corpo», che è sia trascendenza sia immanenza. Questa tensione ha anche altre ripercussioni. «La voce dominante del Secondo sesso esorta le donne a perseguire un’indipendenza economica. La voce ammutolita ci esorta tutte a recuperare l’erotismo della generosità». La voce dominante privilegia la violenza e il «progetto etico di libe- razione» trascendente. Mentre, la voce ammutolita esprime «la sua etica erotica della generosità» che sottolinea la preoccupazione per il nostro legame corporeo con gli altri. Per approfondire, si veda Bergoffen 1997: 12, 36, 160, 173.

10 Descrivendo i disturbi della gravidanza come espressioni della «ribellione dell’organismo contro la specie che prende possesso di lui» (SS: 56), Beauvoir ritrae il feto come estraneo alla donna incinta, come «parte del suo corpo ed è un parassita che la sfrutta» (SS: 586), e nota che può sembrare «addirittura orribile che un corpo parassita debba proliferare all’interno del suo corpo» (SS: 354).

11 Se lei resista adeguatamente alle tentazioni del positivismo biologico è invece più discutibile. In un istruttivo articolo che esamina il trattamento di Beauvoir della biologia, alla luce della recente scienza femminista e della filosofia della scienza, Charlene Haddock Seigfried obietta che «Beauvoir ha riconosciuto solo l’uso distorsivo dei fatti biologici in diversi interpreti (al fine di giustificare la sottomissione della donna) e non ha considerato se i programmi di ricerca, da cui i fatti biologici sono emersi, sono stati distorti a loro volta da questi stessi pregiudizi culturali» del patriarcato. La descrizione dei fatti biologici di Beauvoir assorbe, secondo Seigfried, troppo acriticamente il loro pregiudizio patriarcale e di conseguenza «soffre delle stesse distorsioni», per esempio nei cosiddetti fatti della maternità come schiavitù, alienazione e causa di debolezza. Considerate dalla prospettiva della biologia evoluzionista, nella quale si misura il successo della trasmissione di geni di una nuova generazione attraverso la produzione di progenie vitale, le donne – essendo «molto più responsabili del successo riproduttivo rispetto agli uomini» – dovrebbero essere considerate «più favorite» biologicamente. In proposito, si veda Seigfried 1984: 305-322 (citazioni alle pp. 307-308, 312).

12 Si compari l’osservazione di Maurice Merleau-Ponty nel capitolo su «Il corpo come essere sessuato» nella sua Fenomenologia della percezione : «L’uomo è un’idea storica e non una specie naturale». Rifiutando qualsiasi tipo di determinismo biologico sull’esistenza umana, Beauvoir rimarca altrove che «di ciò che avviene all’uomo, nulla è mai naturale, poiché la sua presenza mette in questione il mondo», cfr. Merleau-Ponty 1945: 239. De Beauvoir 1964: 102.

13 L’esistenzialismo di Beauvoir, su altri punti, converge anche con il pragmatismo. Al pari dell’estetica pragmatista, essa critica «l’atteggiamento estetico» della «contemplazione distaccata» trattandolo come «una posizione di ripiego» dal mondo. Nessuno come l’artista crea «non in nome della pura contemplazione, ma in nome di un progetto definito», ponendosi in relazione con la sua situazione attiva nel mondo; «l’uomo non contempla mai: fa». In proposito si veda De Beauvoir 1947: 64-67.

14 Spesso Beauvoir è sorprendentemente schietta circa il valore della violenza. «La violenza è la prova autentica dell’adesione di ciascuno a se stesso, alle sue passioni, alla sua volontà» insiste, nonostante lamenti che «la sportiva non prova mai l’orgoglio conquistatore di un maschio che ha messo a terra un compagno» (SS: 386). In un passaggio che ha comprensibilmente sconvolto numerose femministe, Beauvoir scrive: «l’uomo si innalza al di sopra dell’animale, non suscitando ma rischiando la vita; perciò nell’umanità la preminenza è accordata non al sesso che genera, ma a quello che uccide» (SS: 94). Nella sua interpretazione del Marchese de Sade quale «grande moralista», Beauvoir afferma nella sua prospettiva la violenza – intesa come essenziale verità di natura – è un mezzo cruciale per l’esperienza individuale della verità. Per farla propria e comunicarla alla sua vittima, stabilendo così un legame tra individui separati. Con tale conoscenza si ottiene anche un maggior piacere: «Bisogna violentare l’oggetto del proprio desiderio; quando esso si arrende, il piacere scompare». Cfr. de Beauvoir 1952: 21, 53.

15 In un’intervista rilasciata a due biografi nel maggio 1985, Beauvoir afferma: «le giovani ragazze devono imparare il karate a scuola, dobbiamo sostenere il tour de France per le donne». Cfr. Francis e Gontier 1985: 358. Questa parte del testo non è presente nell’ultima riedizione italiana del libro: Simone de Beauvoir, Quando tutte le donne del mondo…, tr. it. V. Dridso e B. Garufi, Torino, Einaudi, 2006 (N.d.T.).

16 Young 1989: 51-70 (citazioni dalle pp. 57-58 e 67). Sebbene riconoscente per la ricognizione femminista dello stato generale del corpo offerta da Beauvoir, Young la critica comunque per «aver in gran parte ignorato la condizione del movimento del corpo della donna, e l’orientamento nel suo ambiente e nel suo mondo» (ivi: 53).

17 Butler 1990: 182-210.

18 Beauvoir insiste sul fatto che il desiderio sessuale della donna (almeno sotto il patriarcato) deve rimanere passivo, causando nella donna un ulteriore conflitto interiore. «Farsi oggetto, farsi passiva, è tutta un’altra cosa dall’essere un oggetto passivo». Se la donna richiede un ruolo troppo attivo e dinamico nel rapporto sessuale, «rompe l’incantesimo» che dà il suo piacere: «ogni sforzo volontario impedisce invece alla carne femminile di partecipare; è per questo che spontaneamente la donna ricusa le forme di coito che richiedono fatica e tensione; cambiamenti troppo bruschi, troppo frequenti di posizione, l’esigere attività in cui entra la coscienza – gesti e parole – rompono l’incantesimo» (SS: 435-436). In seguito tuttavia, attraverso le somaestetiche esemplificate da Brigitte Bardot, Beauvoir sembra intravvedere la possibilità di «un tipo inedito di erotismo» per la donna, al pari di quello assertivamente attivo dell’uomo. «La sua carne non ha l’esuberanza che diviene in altri simbolo di passività […] il suo erotismo non è magico, ma aggressivo; nel gioco d’amore, ella è ugualmente cacciatrice e preda; il maschio è oggetto come a sua volta lei per lui». Cfr. de Beauvoir 1959: 10, 23.

19 Scrive Beauvoir: «i ginecologi sono concordi nel dire che i nove decimi delle loro clienti sono malate immaginarie, cioè che, o i loro malesseri non hanno nessuna realtà fisiologica, o lo stesso disordine organico ha un’origine psichica. In gran parte è l’angoscia di essere donna che rode il corpo femminile» (SS: 388). Senza contestare l’importanza dei disturbi psicosomatici, ci si chiede se Beauvoir dovrebbe accettare acriticamente i «fatti» affermati nella professione medica, nella quale tradizionalmente vige il dominio  maschile.

20 Si veda l’originale francese, Le deuxième sexe, 1949, vol. 2: 191: «La femme a d’elle-même une expérience plus autentique», che Parshley mal traduce con: «Woman lives her love in more genuine fashion». La traduzione italiana è la seguente: «La donna ha di sé un’esperienza più autentica» (SS:  461) (N.d.T.).

21 Sostenendo che i disturbi psicosomatici della donna riflettono la sua situazione infelice, Beau- voir afferma che «la situazione non dipende dal corpo, è questo che dipende da lei» (SS: 800). Essa ha ragione a sostenere che, globalmente, la situazione sociale esercita un potere maggiore, ma l’influenza che si estende in entrambe le direzioni, in parte perché il corpo è sempre parte della propria condizione. Come afferma Beauvoir stessa: «il corpo della donna è uno degli elementi essenziali della sua situazione che ella ha nel mondo» (SS: 63).

22 Butler 1990: 190-200. Si noti che Butler usa un’espressione più estesa così tradotta nell’edizione italiana: «l’illusione di un nucleo di genere interiore e organizzatore»; cfr. Butler 1990: 193 (N.d.T.).

23 Young 1989: 57, 66-67.

24 Merleau-Ponty 1945: 485-486.

25 In Francia, fino ancora al 1943, un abortista femminile è stato ghigliottinato. «Le donne sposate hanno dovuto attendere fino al 1965, prima di ottenere il diritto di aprire un conto in banca, o di esercitare una professione senza il permesso dei loro mariti. Prima del 1965, inoltre, solo il marito poteva avere il diritto di decidere dove la coppia avrebbe dovuto vivere…: i contraccettivi sono stati legalizzati in Francia solo nel 1967, e l’aborto è rimasto illegale fino al 1974». Si veda Moi 1994: 187.

26 Beauvoir offre anche (sebbene Bergoffen la chiami la sua voce ammutolita, anziché dominante) uno scorcio molto positivo di come le donne (e gli uomini) possano dilettarsi con i propri corpi una volta liberi dalla ideologia repressiva del patriarcato, che infetta la nostra esperienza amorosa per via di conflitti di dominazione piuttosto che con la liberalità erotica. L’«erotismo, l’amore, avrebbero il carattere di un libero superamento», che per ciascuno dei due amanti, l’uomo e la donna, «nella febbre dei sensi, è consenso, dono volontario, attività» estranea a «lo strano equivoco dell’esistenza fatta corpo»; «l’umanità di domani vivrà nella sua carne e nella sua libertà» (SS: 829-830, 832).

27 Dice un vecchio proverbio cinese: «gli antichi che erano interessati a manifestare con chiarezza la loro indole al mondo, dovevano prima di tutto mettere ordine ai loro stati. Coloro che volevano mettere ordine al loro stato dovevano innanzitutto disciplinare le loro famiglie. Coloro che desideravano tale disciplina familiare, per prima cosa, dovevano coltivare la propria vita personale», cfr. Chan 1963: 86.

28 Al contrario, Beauvoir sostiene che i poteri intellettuali possano essere mantenuti attraverso un esercizio sistematico, in modo da ritardare o sfidare il loro declino durante l’età avanzata: «più il livello intellettuale del soggetto è elevato, più la diminuzione delle sue facoltà è modesta e lenta»; «molti lavori intellettuali si compiono senza limitazione di tempo» e «certe persone assai anziane si dimostrano più efficienti dei giovani» in talune attività. In generale, per esempio, per il filosofo «il suo pensiero si arricchisce con l’età» (TE: 41, 366).

29 De Beauvoir non riesce a riconoscere il ruolo del vigore e dell’energia somatica, specie quando sostiene che gli operai restano sessualmente molto più attivi e a lungo, rispetto agli «intellettuali». Questa affermazione (che sembra contestabile, e che de Beauvoir non supporta con dati empirici) spiega come gli operai siano più semplici nei loro desideri e «meno asserviti dai miti erotici», ossia richiedenti un oggetto sessuale bello (TE: 299-300). Una spiegazione più diretta e convincente è che i lavoratori manuali, conducendo una vita più attiva, hanno più capacità e inclinazione per l’espressione fisica e le prestazioni – incluse quelle sessuali.

30 Rousseau 2010: 72.

31 Spence 1994: 57. «Uno studio mostra che una moderata attività fisica, facendo i pesi per circa 45 minuti tre volte la settimana, rallenta notevolmente la perdita di calcio nelle donne più anziane e, se continuata per un anno, può invertire la demineralizzazione che spesso si verifica (ivi: 63).

32 Ivi: 71-72.

33 Ivi: 122. Si veda anche Ehsani et al. 1991: 96-103; Beere et al. 1999: 1085-1094.

34 Cfr. Shusterman 2008.

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