La prima volta che ho tenuto in mano questo libro, che l’ho osservato, ero seduta sul tram che mi portava verso casa. Di solito non do troppa importanza agli animali non “da compagnia” che attraversano le strade e gli altri confini della città, ma quella volta ne ho apprezzato la presenza. La biodiversità che percorre le periferie, i sotterranei di una metropoli come Roma è rappresentata da specie scomode, poco desiderate e spesso confinate se non uccise (pantegane, scarafaggi, ma anche cani e gatti randagi). Esseri viventi, altri dall’umano, passano da luoghi cosiddetti degradati (rappresentano loro stessi il degrado) a luoghi centrali, formali, non senza suscitare lo sdegno e il rancore dei/lle garanti del perbenismo. Il parallelismo con la nostra specie mi è venuto spontaneo, mi bastava guardare i marciapiedi, guardare di fronte ai supermercati, per scorgere gli/le altre, quella povertà che può essere rappresentata dai/lle migranti, dai/lle senza tetto, da tutte quelle persone che vivono ai margini a stretto contatto con quella categoria di animali poco amata alla vista.
Quando sono tornata a guardare il libro, le parole rivolta e resistenza, a questo punto mi sono sembrate più imponenti di tutte le altre. Che tipo di confini permettono di attraversare queste parole? Chi può agirle?
La traduzione italiana di Animali in rivolta si compone di due saggi introduttivi, Per un antispecismo decoloniale, di Marco Reggio3 e Intersezionalità. Di oppressione e privilegi, di feminoska4, i quali si rivelano, non solo acutamente interessanti, ma anche necessari, a mio parere, a dei/lle lettori/trici che si stanno avvicinando a questo tema.
Prima di significare la parola “resistenza”, il libro, per gradi, ci porta a ragionare su dei temi centrali, uno tra questi è il complesso rapporto simbolico e materiale con l’accessibilità allo statuto di essere umano. Un esempio lo sono i processi di animalizzazione che vengono incorporati nell’analisi della costruzione del soggetto colonizzato, dei/lle transgender, delle donne (p. 12). L’esclusione dei/lle subalterni/e dalla vita privilegiata, considerata la più umana e investita di moralità, il cui accesso è costruito sull’individuo adulto, sano, bianco e maschile, è seguita da una minore tutela per questi soggetti considerati più vicini alla natura selvaggia e indomabile e devianti da quella normalità che costruisce e delimita i corpi trasversalmente alle categorie di razza, sesso, genere età e specie. Di conseguenza, umanità e animalità sono categorie politiche che rendono possibile distinguere tra corpi che contano e corpi che non contano. Ma dove c’è potere c’è anche resistenza, si creano nuove relazioni e l’alleanza e la solidarietà tra categorie che abitano i margini diventa forza creativa di cancellazione dei binarismi neoliberali, dei limiti materiali e simbolici cui fanno capo. L’alleanza che gli autori invocano è un’alleanza transpecista.
A questo punto, feminoska introduce il concetto di specie, una parola il cui significato lo stesso Darwin considera arbitrario (p. 42), e lo pone dentro il comparto socio-economico, in cui nasce, del pensiero binario. La classificazione che ne deriva porta al dualismo e alla separazione tra umano e animale (categoria vasta, eterogenea e completamente sfruttabile), fonte di gerarchie tra specie e, come fatto anche notare precedentemente, tra razze attraverso il processo di deumanizzazione e animalizzazione dei/lle altre/i. Il binarismo umano/animale diventa presto connesso con quello di dominante/dominato.
Lo standard su cui è stata costruita la nostra società opprime e disciplina i corpi altri, introduce limiti, recinzioni le quali risignificano i luoghi che viviamo in spazi di esclusione. Eppure sono in molte/i a ribellarsi, a resistere. Ma Cosa vuol dire resistenza?
Sarat Colling, nel suo lavoro di ricerca, ridefinisce questo concetto nel modo seguente (p. 67):
La resistenza, in un contesto politico, implica azioni che contrastano e contestano il paradigma predominante attraverso la violazione dei confini, sottraendosi ai muri e ai recinti e ad altri limiti materiali o concettuali che tengono prigionieri gli animali umani e/o non umani. […] È un atto che implica il desiderio di essere liberi dalla schiavitù, dalla violenza e dalla sofferenza che caratterizzano i sistemi di oppressione e di dominio.
Alla domanda se gli animali possono agire forme di resistenza, l’autrice tenta di rispondere attraverso due approcci principali: la raccolta di documenti delle ideologie dell’eccezionalismo umano5 e il tentativo di utilizzo di un punto di vista situato all’estremo margine, quello animale, sostenendo entrambi gli approcci con la messa al centro della metodologia femminista e postcoloniale (p. 78).
Il libro disegna una geografia dei confini, principalmente urbani, volti al commercio del prodotto animale. Qui le specie prigioniere si trovano despazzializzate: fuori dal loro “ambiente naturale”, fuori luogo se trasgrediscono le norme della loro cattività. Come si ribellano? Scappando, cercando una via di fuga, anelando la libertà, desiderandola al punto da rischiare tutto per l’ignoto. La fuga è qui un atto di resistenza, agita dalle specie prigioniere, schiavizzate. Agita dalla specie umana in ogni epoca storica.
Scappare implica la destrutturalizzazione dello spazio in accordo con Reggio (p. 19):
Una vera e propria critica pratica dei confini e delle barriere condotta dai corpi: una critica che non investe soltanto il carattere antropocentrato della città, ma anche i dispositivi di separazione, controllo e marginalizzazione degli abitanti umani -si pensi al carattere genderizzato e (genderizzante) dello spazio pubblico, alla crescente gentrificazione, ai meccanismi di violazione del diritto alla circolazione di migranti, disabili, bambine/i e adolescenti, alle misure promosse in nome del decoro pubblico.
L’autrice descrive e racconta casi di fuga di animali da zoo o mattatoi e ne analizza la reazione pubblica. La maniera con cui vuole (ri)scrivere queste storie seguono quella del femminismo postcoloniale. Sarat Colling non vuole essere la voce di chi si pensa non ne abbia, ma crede nella relazione tra umani e non umani che agiscono forme di resistenza insieme, senza gerarchie. L’attraversamento dello spazio urbano, liberamente, da parte di animali e umani animalizzati va contro la logica del decoro urbano. Riappropriarsi di questa possibilità, dai margini verso i centri, sconvolge lo spazio gerarchizzato creando una relazione tra gesto sovversivo e spazio antropocentrato.
Un libro che, una volta finito, fa venir voglia di camminare, senza una meta precisa, sapendo che insieme, intorno a noi, lo stanno facendo anche altri animali liminali, quelli che rifiutano la domesticazione.
Note:
1 – Laureata in Sociologia critica alla Brock University. I suoi interessi abbracciano il campo degli Animal studies e del femminismo transnazionale.
2 – Les Bitches è un collettivo transanimalfemminist*: https://lesbitches.wordpress.com/
3 – Attivista per la liberazione animale, si occupa di intersezioni fra teoria queer e antispecismo e di resistenza animale.
4 – Componente del collettivo Les Bitches
5 – Ideologie che conferiscono privilegi e opprimono la vita umana e non umana (p.e. Bianchezza, Neoliberismo, Specismo).