A cura di Alessia Dro
Abstract
Note sull’edizione e sulla riedizione del Secondo Sesso, cenni biografici – Elementi di approccio al secondo sesso – Perché il libro può considerarsi un classico – Le parti del libro e la molteplicità delle fonti- Simone de Beauvoir: i romanzi, la vita, l’uso del linguaggio- Analisi testuale dell’introduzione – Commenti al testo: in dialogo con Carla Lonzi e Judith Butler e la donna tra essenzialismo ed astrazione- L’atto di decolonizzazione di Simone de Beauvoir- Significato del titolo del libro: oltre la riduttiva interpretazione di denuncia di condizione di subalternità della donna, Il Secondo Sesso fornisce un’occasione per l’immaginazione di innumerevoli possibilità positive.
Non ho idea della distribuzione dei tempi, per cui capiremo insieme che tipo di lavoro fare. Inizialmente direi di partire dal testo.
Innanzitutto, due parole su Simone de Beauvoir, che nasce nel 1908; nel 2008 è stato celebrato il suo centenario in Francia, con un grande convegno organizzato da Julia Kristeva, che è di una generazione successiva a Simone De Beauvoir e ha proprio un altro approccio alle questioni femministe, ma che in ogni caso l’ha ripresa, riletta e riproposta in questo grande convegno; tanto è vero che in Italia il centenario è stato segnato con la riedizione del Secondo Sesso, comparso per la prima volta con il Saggiatore, quindi è rimasto presso la stessa casa editrice, con la prefazione di Kristeva che dà una lettura non affatto in continuità con letture che si son potute dare nei decenni dell’opera di Beauvoir e con la postfazione di Liliana Rampello, che ha curato la riedizione e che intervista e ricostruisce la ricezione del volume in Italia dagli anni ‘50 fino alle ultimissime generazioni di lettrici.
Darò alcuni elementi di approccio a questo testo.
In modo classico, si può prenderlo come un testo di denuncia della subalternità femminile – la propongo qui come tesi da mettere in discussione – il che farebbe di questo testo che è stato composto nel ’49 un testo datato. Registrare la subalternità della donna nel 1949, sessant’anni dopo potrebbe non avere più tutta la sua pregnanza. Perché questo libro invece diventa un classico? Classico, in senso stretto: ogni volta che lo si rilegge offre delle risorse. Per molti motivi: li scopriremo insieme ma vi dico quelli che mi vengono in mente in prima battuta.
Innanzitutto Il Secondo Sesso è un’opera che parte con una vocazione enciclopedica, come struttura. Ricostruisce la condizione storica e culturale della donna, nei campi più disparati, così come è restituita dalla scienza, dalla psicanalisi, dalle teorie politiche di ispirazione marxista…e questa è la prima parte. Nella seconda parte viene esaminata la storia, quindi abbiamo una sorta di cavalcata attraverso i secoli e i millenni e il libro si rivela una fonte veramente sterminata di testi, di situazioni storiche, di fatti, di eventi, dove ogni volta Beauvoir individua elementi che facciano luce e diano consistenza alla situazione della donna. C’è poi la parte dei miti che verte molto sulla letteratura e c’è poi la parte più sviluppata, che è il libro II, a sé stante, sull’esperienza vissuta: la formazione, l’infanzia, l’adolescenza, l’iniziazione sessuale, la sessualità, che per Beauvoir non è solo quella eterosessuale (infatti sarà molto interessante notare come Beauvoir contempli un’inclinazione della ragazza per il corpo femminile) più le varie fasi della vita adulta, sino alla maturità e alla vecchiaia.
La parte finale, che è la parte IV, si chiama “Verso la liberazione”, ed è una parte dove Beauvoir tira e non tira le fila. E’ una parte dove prende una – vi ricordo siamo nel ‘49 quando esce questo libro, ancora ben prima dello scoppio del movimento femminista in maniera diffusa – linea per cui lei comincia a tratteggiare una sorta di orizzonte politico di lotta delle donne. Si tratta insomma di un’opera che s’impegna anche a fornire materiali per saperne, per poterne dire di più sulla situazione della donna.
Per quanto riguarda l’abbondanza e la molteplicità delle fonti utilizzate in questo libro, si trova di tutto: romanzi, saggi storici, ciò fa sì che – e questo è il secondo motivo per cui il testo è una risorsa- ci si possa aggiornare sullo stato dei saperi prodotti dalle donne.
Se nel ‘49 Simone era una voce isolata che prendeva in considerazione lo stato dell’arte ad esempio nelle scienze biologiche e su quel che dicevano della donna, a sessant’anni di distanza quello che vorremmo fare di volta in volta è chiamare qualcuna che ci aggiorni su cosa è accaduto in merito a quell’ambito.
Per esempio nel campo della biologia le femministe hanno respinto il sapere medico sui corpi delle donne, hanno diffuso la pratica dell’auto-visita, della conoscenza diretta, ma questo è solo uno dei capitoli. Oggi ad esempio si sta parlando di istituzionalizzazione della medicina di genere…quindi ogni parte può fornire l’occasione di una aggiornamento sullo stato della questione.
Terzo elemento che rende questo libro un classico, è la lingua. È vero che si tratta di un testo enorme, enciclopedico, ma la scrittura ha la leggerezza di una scrittura letteraria quando Simone de Beauvoir argomenta la sua analisi, ha la grazia dell’uso di esempi tratti dalla vita quotidiana, rende intuitive le sue tesi. C’è una velocità che le vien anche dal fatto che Beauvoir non è stata soltanto una saggista ma anche una romanziera. Buona parte della sua opera è fatta di romanzi. Uno tra tanti: la raccolta di racconti “La donna spezzata”, ma si pensi anche ai tanti volumi della sua biografia. Ci sono grandi affreschi di personaggi, di paesaggi con tutto lo spessore delle trame, degli incidenti, dei ritrovamenti, degli scontri, pensiamo a “Memorie di una ragazza per bene”, “La forza dell’età”, “La forza delle cose”. Alla morte della madre ha dedicato il libro “Una morte dolcissima” e poi c’è la “Cerimonia degli addii”. Ha avuto un rapporto di creatività relazionale con J. P. Sartre, nel corso di tutto la sua vita, il che non significa però che siano stati sempre insieme.
Ne La forza delle cose Beauvoir come nella migliore tradizione del pensiero femminista pensa e teorizza in una fortissima implicazione personale negli eventi della propria epoca – si pensi a Simone Weil- Simone de Beauvoir partecipa attivamente alla guerra d’indipendenza d’Algeria -la sua relazione principale era con un’ avvocata del fronte di liberazione algerino- che tende i rapporti in Francia quasi sino al punto della guerra civile, siamo nel 1962, si pensi al film “La battaglia di Algeri”. Simone racconta come ci fossero molti francesi schierati contro l’indipendenza algerina, e racconta dell’odio che sentiva per i francesi mentre cammina per le strade di Parigi. C’è una sensazione di rivolta contro la sua appartenenza nazionale per i fatti che stanno accadendo e questo per dire che il suo è un linguaggio e un pensiero che veramente attinge la sua vitalità dall’implicazione nelle cose e nei fatti della sua epoca, implicazione naturalmente privilegiata. Ne I Mandarini Beauvoir racconta di un gruppo di intellettuali a Parigi nel periodo tra la Seconda guerra mondiale e fine anni 60. Kristeva scriverà la biografia degli intellettuali della generazione successiva a quella appena indicata ispirandosi proprio a Beauvoir, perché mentre Beauvoir scrive I Mandarini, Kristeva scrive I Samurai.
Ora staremo sulle prime pagine, densissime, dell’Introduzione. Staremo sull’Introduzione, per lavorare di tanto in tanto, proprio per il gusto della lingua, molto vivida e non concettosa.
“Ho esitato a lungo prima di scrivere un libro sulla donna. Il soggetto è irritante soprattutto per le donne e non è nuovo”
Allora, la prima enunciazione ha già una tesi: per una donna, nel parlare del fatto che è una donna, c’è qualcosa di sgradevole. Cercherò sempre di sottolineare l’attualità. Se ci pensate, ancora oggi c’è l’inclinazione all’elusione del fatto di essere una donna, la frase: “io non sono femminista” o “le femministe: quelle che si lamentano sempre…” o ancora “ io non sono una donna, sono una persona, sono un essere umano” quindi è ricorsiva la sgradevolezza di affrontare ed esplicitare il fatto di essere una donna. E’ qualcosa che appartiene a tante epoche.
“Il soggetto non è nuovo”. Qui Beauvoir ci dice e segnala qualcosa: la parola sulla donna. Non è lei che dà inizio a questo discorso. Siamo nel 1949 e S. De Beauvoir dice che il femminismo è un tema affrontato in lungo e in largo. Di cosa starà parlando? E poi continua: “Ora è pressoché esaurito, non parliamone più.” Bene, negli anni 70 Carla Lonzi, in una delle interviste che fa, dice che si decreta ogni giorno la morte del femminismo, agli inizi del 2000 c’è stata una discussione in cui si diceva che il femminismo non aveva più ragione di essere.
Qui Beauvoir ha in mente soprattutto il movimento delle suffragiste di fine Ottocento, ha ben presente Virginia Woolf e ha in mente le grandi lotte per il diritto al voto delle donne. Però sia attraverso di lei, che negli studi dei decenni successivi, veniamo a scoprire che lotte di liberazione sono presenti in ogni secolo, nella tradizione occidentale ma non solo.
Continuando nella lettura, Beauvoir si chiede: “Si può dire che vi siano ancora delle donne?” E comincia con questo dileggio, e fa la parodia dei discorsi maschili sulle donne. Si apre la questione, su cosa siano le donne, la donna con la “D” maiuscola, si chiede se esista un’essenza… questa è una questione che ha avuto una ripresa fortissima negli ultimi dieci anni ad opera di Judith Butler, che ad un certo punto, verso la fine degli anni ‘80 negli Stati Uniti ha incominciato a dire che il femminismo dava troppa importanza a questo soggetto collettivo a cui faceva riferimento, appunto, “le donne” e ha incominciato a fare un lavoro per togliere questa evidenza che veniva attribuita.
Tornando al Secondo Sesso, Simone de Beauvoir si chiede: questo soggetto collettivo, esiste? E la donna? Com’è fatto questo essere che si chiama la donna? E comincia allora a fare un lavoro di parodia, dicendo che non c’è niente di evidente nei significati attribuibili alla parola; secondo alcuni, dice, la donna è “tota mulier in utero” e invece in contemporanea nel discorso di tutti i giorni si dice che la femminilità è in pericolo, oppure ci esortano: siate donne, restate diventate donne… e allora la Beauvoir, dice su questo punto: dunque non è detto che ogni essere umano di genere femminile sia una donna! Secondo la Beauvoir, il metro di Parigi della donna, non ce l’abbiamo.
Facendo un po’ di pulizia della parola dominante che presume di stabilire o chiede la credenza che se si dice donna si dice qualcosa di chiaro, lei in questo primo paragrafo spiega come il significato non sia affatto evidente. E così facendo apre un terreno incolto decolonizzato dal senso comune dove far avvenire la sua analisi e la sua ricerca. C’è un atto iniziale di decolonizzazione. E qualcosa che riecheggia: facciamo atto di incredulità; si pensi a Rivolta Femminile. Il femminismo è un fatto che ricorre nella storia per questo gesto che di epoca in epoca si ripete quando una donna dice “io non sono quello che un contesto dato, le circostanze storiche, dicono che sono”. Rifiuto, respingo i significati e compiti che mi vengono attribuiti. Faccio tabula rasa e su questa tabula rasa non do niente per scontato.
La differenza tra il femminismo degli anni 70 e quello di Simone de Beauvoir è che il lavoro di quest’ultima è fatto in solitaria, in individuale. Simone de Beauvoir è questo grande genio femminile, come la chiama Kristeva, che lavora da sola. E’ il suo lavoro di ricerca di scrittura. Negli anni 70 l’operazione di riscrittura sarà collettiva, non di una soltanto.
Nella pagina successiva leggiamo un’altra pagina lapidaria: “Se oggi la femminilità è scomparsa è perché non è mai esistita” . Chi lamenta che le donne non sono più femminili, lamenta qualcosa che non è mai stata una realtà stabile e data. E qui Judith Butler dirà che la donna non esiste, in quanto essa è il prodotto di ciò che la società costruisce nel dividere ruoli, compiti. Simone de Beauvoir fa un passaggio diverso, dice: se non è possibile stabilire quali sono le caratteristiche che rendono donna una donna, dunque la parola donna non ha alcun contenuto? Ciò non significa che la parola non ha valore, cioè non è operativa.
Per esemplificare il problema, parla di Dorothy Parker, donna emancipata statunitense, scrittrice riconosciuta. Simone de Beauvoir cita una frase in cui questa prova irritazione nel parlare della sua condizione di donna, ribadendo invece l’importanza di riconoscere l’uguaglianza di tutti gli esseri umani.
Dove è il problema? Risponde Beauvoir: “Il nominalismo, è una dottrina un po’ miope e gli antifemministi” ( quelli che vogliono che le donne rimangano al posto loro) “hanno buon gioco a dimostrare che le donne non sono uomini. Certo che la donna è come l’uomo, è un essere umano, ma questa è un’affermazione astratta. Il fatto è che ogni essere umano ha la sua particolare situazione”.
Beauvoir sta dicendo qualcosa che si colloca nel suo orizzonte di riferimento (esistenzialismo, fenomenologia, ripresa filosofica del marxismo) e dice: se un essere umano lotta per la sua libertà questa libertà non la raggiunge per l’assenza di vincoli, la raggiunge perché si confronta con gli ostacoli e li scioglie, li risolve. C’è un’idea materialistica della libertà o esistenzialista. Si è libere in situazione.
Nell’introduzione si trovano spesso riferimenti alle americane, pochi anni prima infatti ha fatto un giro negli Stati Uniti e lo racconta nel volume “L’America giorno per giorno” e lei lì ha potuto constatare che le americane hanno un grado di emancipazione più avanzato rispetto all’Europa, e lì ha potuto constatare che son ossessionate dalla femminilità, dal rischio che venga loro attribuita la caratteristica di essere donne. Una nota scrittrice, racconta Simone, ha rifiutato di mettere il suo ritratto tra una serie di fotografie riservata alle donne che scrivono, volendo esser messa con gli uomini. E per ottenere tale privilegio, precisa Beauvoir, ha approfittato dell’influenza del marito.
La libertà per Simone de Beauvoir è un fatto concreto e materiale che riguarda le circostanze, non si ottiene solo tramite delle enunciazioni, o potremmo dire oggi attraverso delle dichiarazioni di diritti, riguarda proprio la vita, le relazioni, le dinamiche sociali.
Altro motivo di irritazione sull’argomento è il fatto che ad un uomo non verrebbe mai in mente di scrivere un libro sulla singola posizione che i maschi hanno nell’umanità. Questo a distanza di sessant’anni sta esattamente avvenendo: ci sono autori e pensatori che iniziano a pensare il genere maschile come una parte dell’umanità, non come il genere che rappresenta l’umanità per intero. Esistono i Men’s studies in area anglosassone ma anche le discipline queer mettono in questione la costruzione sociale anche del maschile. Però all’epoca di Simone andava da sé che un uomo nel dire uomo esprimeva il significato essere umano. Ancora oggi abbiamo docenti e studenti che dicono “l’uomo” per dire l’essere umano. Simone de Beauvoir dice che il significato di vir (uomo fisico) s’è sovrapposto a quello di homo (in generale), diventando rappresentante dell’umanità in toto. Alla donna, è rimasta la posizione dell’Altro. E così si arriva al titolo dell’opera. Il Secondo sesso, in realtà, non significa immediatamente la subalternità, e qui poi le nostre amiche studiose di Hegel ci daranno un contributo.
E’ la posizione che è riservata alla donna come soggetto collettivo. Gli uomini quando parlano di loro parlano del genere umano per intero e poi riservano un discorso specifico sulle donne.
Il secondo sesso, le donne, la donna, nei discorsi della storia, non vuol dire che la donna è stata cancellata dal discorso filosofico: della donna si è parlato tantissimo attraverso i secoli, però il punto è che si è sempre parlato sulla donna, della donna, e, chi parlava, non erano delle donne. Questo innanzitutto significa secondo sesso. Se si torna ai miti, alla religione, si trovano un sacco di materiali su cosa fanno le donne, su come si comportano, ma non sono mai le donne a raccontare questo. La donna è il contenuto degli enunciati, non è mai soggetto di enunciazione. Questo è lo spazio su cui Simone de Beauvoir si colloca. Lei dice che non accetta tutto ciò che è stato detto sulla donna, e non accettandolo andrà a prendersi tutte le fonti che pretendono di dire che cos’è una donna e, dice, sarò io a dire se è vero o non è vero, passeranno al mio vaglio. Si mette in posizione attiva e di critica. Questo è come è stato generalmente recepito il Secondo sesso: una monumentale operazione di critica di secoli della cultura occidentale, che nega, smentisce, svela tutti i discorsi che son stati fatti sulla donna. Fosse così, sarebbe un esercizio meritorio, ma noioso, se volessimo vedere i mille e uno modi con cui si son dette falsità sulle donne.
Quello che è interessante è che nell’opera di smontaggio così precisa che Simone de Beauvoir fa lavorando sulle singole fonti si aprono altrettante possibilità positive. E questo è il lavoro che mi piacerebbe facessimo insieme: cioè non solo vedere e di apprezzare il lavoro di raccolta delle fonti, non solo seguire pedissequamente il messaggio, quello più apparente, di denuncia della finzione di queste narrazioni, che sarebbe tutto sommato sterile. E invece l’opera di lettura dei singoli passi che fa Beauvoir, pur non proponendoselo in modo programmatico, smentisce a partire da qualcos’altro, un qualcos’altro che non è definito in un’operazione preliminare. Però nella possibilità di dire “questo non è vero” costruisce delle tracce su cui immaginare qualcos’altro, su cui descrivere quel paesaggio che è la vita di una donna. Quando lei decostruisce, dà degli elementi per pensare altrimenti e questo pensare altrimenti, però, è solo tratteggiato con i suoi appigli. Di epoca in epoca ognuna coglie gli agganci, dispiega le tracce, le articola rispetto al presente che va vivendo.