di Anna Maria Civico
Continua a scendere… Si scivola?…Cos’è stato?…lo strofinio dei capelli sul colletto della giacca sintetica…C’è un odore…di minerali, di fresco… L’aria è tranquilla. Mite…Continua a scendere…Qualcosa mi ha sfiorato la testa. Non mi segue. Sono gli ultimi filamenti delle radici. Granelli di terra vengono rilasciati al mio passaggio. Sulla schiena formicolii diffusi nel lato sinistro sottoscapolare. Come essere toccata da impulsi di corrente. Ad ogni impulso corrispondeva un granello di sabbia. La sabbia era intrappolata in alghe di lago, che avevo appeso sul leggìo, dietro la mia sedia. Il lago era quello di Bolsena. Avevo sistemato fogli di carta, a terra, in corrispondenza delle alghe, perché la sabbia non si disperdesse sul pavimento.
Le alghe erano secche e bianche e a intervalli irregolari rilasciavano sabbia vulcanica che cadeva a mucchietti, per meno di un secondo. Poi niente per dieci o venti minuti. Finché mi dimenticavo della loro esistenza. All’improvviso di nuovo. Il contatto con la carta, provocava onde che riverberavano sulla pelle della mia schiena, pur avendo addosso maglioni pesanti. C’era anche un effetto acustico di frequenze medio-alte rilasciate dalla carta amplificatrice. E’ stato un godimento tattile sottile e sensazionale per le orecchie e per la pelle. In modo differente, locale, specifico. C’era motivo per essere seduta sulla sedia, nella casa, e nel borgo dei pescatori, a Marta. Immersa nel silenzio. C’era la pandemia in corso. Molte, molti di noi stavamo in casa, uscendo solo per urgenze e approvvigionamenti. Erano mesi di isolamento.
Avevo iniziato a frequentare un seminario di studi su di un libro che amplificava le turbolenze in cui ci trovavamo, aprendo possibilità e visioni per costruire nuove parentele con umani e non-umani. Il Pianeta stava cadendo. Ci guidava una cosmonauta di realismo stregato. Noi, un equipaggio con missioni speciali ovunque. Intraprendere nuove relazioni era vitale. In forma digitale, in presenza, tra gli spettri. Il pensiero aveva iniziato a viaggiare così come viaggiano gli animali e le piante…Le piante non sono mai da sole. Invece qui mi sembra di allontanarmi da tutto. Non ci sono eventi esterni. Fluttuazioni mi allontanano dagli oggetti con cui ho avuto a che fare…Continuo a scendere. Non sono scale, non è un sentiero.
Ho l’impressione che il mio corpo sia pieno di sfere di vapore acqueo. Scivolo con una direzione e intensità costanti. Sono immersa in un colore marrone-nero, compatto quel tanto da non disgregarsi…Perché avevo raccolto le alghe? Sapevo che mi avrebbero guardato le spalle? Invece me le hanno toccate. Solo dopo avevo saputo che mi avrebbero ricordato della presenza situata, dato che, in un anno di relazioni sociali digitali stavo perdendo il senso e i margini della mia corporeità. Le alghe hanno iniziato a parlarmi. L’ultima cosa che presi prima di rientrare per il coprifuoco. Il web ci stava allontanando, ad una velocità impensabile prima, dalla percezione corporea di essere parte del Pianeta. La gente era narcotizzata e io mi attrezzavo per tenermi sveglia. Cercavo alleanze in un tunnel di terra per sensazioni disperse. Guardo dalla finestra. E’ inverno.
La pioggia scorre ghiacciata, il freddo inizia ad entrare in casa come una spessa sostanza invisibile. Ognuno in un appartamento. A piccoli gruppi. Singolarmente. La stanza si allontana sempre di più da chiunque e da ogni luogo. Il freddo creava una coltre dove nessuno osava avventurarsi per chiedere aiuto o qualsiasi altra cosa. Non eravamo più abituati al freddo. All’effetto anestetizzante sulla psiche. Alla sensazione di isolamento ambientale all’interno di un isolamento sociale per pandemia. Passavo le giornate davanti alla scrivania sotto la finestra che dava sul cortile. Il cielo era bianco e speravo nella neve. Intanto scrivevo, leggevo, studiavo. Pensavo suoni. Pensavo alle amiche e agli amici. Mi sentivo connessa a loro. Nello stesso momento avvertivo l’inquietudine rosicchiare ciò che poteva. La mia percezione del tempo e dello spazio iniziava a sgretolarsi.
Fiumando nei ricordi. Scivolando le cose cambiavano continuamente posizione, angolazione, profondità. Qualche volta questo accadeva collettivamente, in piccoli gruppi. Io ero a capo della fila. Sembravamo avere una meta. Camminare era la meta. Le immagini cadono silenziose, come fiocchi di neve, striate di luce di lichene. Ora come spore di muffe bianche si spargono intorno, non per dissolversi ma per essere assorbite…Continuo a scendere, un balugine bianco-oro prende il posto del marrone-nero e di quello che sembrava terriccio. Mi trovo avvolta di polvere di luce. C’è odore di pulito e di ossigeno fresco. Le particelle luminose si infittiscono ma stranamente non abbagliano. Sul fondo un oggetto più denso. Un cespuglio di luce bianco-dorata o filamenti di carta aggrovigliata. Eccole. Ancora lì. Le alghe bianche e secche.